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domenica 3 aprile 2011

Afghanistan: un rogo di corano in Florida infiamma il Paese

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 03/04/2011

Una guerra non ne elimina un’altra: magari, la espelle dalle pagine dei giornali per qualche tempo. Ma il vecchio conflitto va avanti lo stesso e, prima o poi, quando il nuovo s’accheta per un istante, torna a propinarci cronache di morte e di sangue. Dall’inizio dell’anno, uno poteva credere che l’Afghanistan si fosse, di punto in bianco, pacificato: le notizie dall’estero riguardavano solo il domino dei satrapi nell’Africa del Nord, la Tunisia, l’Egitto, poi la Libia, dove l’insurrezione di popolo s’è trasformata in scontro armato internazionale, per l’ostinazione sanguinaria del colonnello dittatore Muammar Gheddafi.

Ma in Afghanistan non s’è mai smesso di combattere, anche se non se ne parlava più. E il Paese non è solo insanguinato dalle scaramucce tra talebani e forze internazionali, che rischiano di riprendere vigore proprio in questi giorni, dopo il lungo inverno, ma anche dalla violenza integralista islamica che, in 48 ore, fa decine di vittime tra Mazar-i-Sharif, Kabul e Kandahar, da Nord a Sud dello Stato.

All’origine della carneficina, un rogo del Corano organizzato, il 21 marzo, in Florida, negli Usa, da un duo di pastori protestanti, integralisti cristiani: la provocazione del noto reverendo Terry Jones e del suo vice Wayne Sapp, era passata quasi inosservata qui da noi, che stavamo badando all’incendio nel Mediterraneo, ma era stata condannata dalle autorità pachistane e afghane.

I talebani respingono ogni responsabilità per quanto avvenuto ora in Afghanistan: rivolta di popolo, dicono, “naturale reazione” islamica alla inutile provocazione americana; e non azione militare, anche se un presunto attacco di terroristi kamikaze nella capitale suscita dubbi sulla degenerazione spontanea di manifestazioni religiose. Le autorità centrali e provinciali afghane, infatti, accusano i ribelli di avere organizzato proteste e violenze “per sfruttare la situazione e creare instabilità”.

Dopo l’assalto di venerdì agli uffici dell’Onu di Mazar-i-Sharif –7 i dipendenti delle Nazioni Unite uccisi-, gli scontri di ieri a Kandahar, ‘capitale’ pashtun e talebana, hanno fatto una decina di morti e oltre ottanta feriti (fra cui due elementi delle forze dell’ordine): secondo testimoni, la polizia, che ha sparato sulla folla per disperderla, mentre cerca di raggiungere la sede del governo provinciale, ha arrestato una ventina di individui, alcuni dei quali armati. Migliaia di manifestanti scandivano slogan del tipo “abbasso l’America” e “morte a Karzai”.

A Kabul, invece, le forze di sicurezza avrebbero sventato un attentato kamikaze: uomini armati che indossavano il burqa avrebbero tentato di fare una strage a Camp Phoenix. Ancora incerto il numero di assalitori uccisi e la dinamica dell'episodio.

Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu chiede al governo afghano di migliorare la protezione del proprio personale: una trentina gli arresti operati nelle indagini sul cruento attacco di venerdì, l’atto più ostile contro una sede Onu dall’invasione dell’Afghanistan nell’ottobre 2001. Nel coro delle voci di condanna e di preoccupazione, quella del ministro degli esteri Franco Frattini: quel che è accusato “è gravissimo”, anche se il rogo del Corano è stato “sconsiderato”. Se si torna a parlare di Afghanistan, ci s’interroga sul senso della missione. Il ministro della difesa Ignazio La Russa dice: “Registriamo grandi successi, ma non successi definitivi”. Andarcene? “Entro il 2014 spero che potremo lasciare l’Afghanistan all’esercito e alla polizia afghani".

Quanto al pastore Jones, non è per nulla pentito. Anzi, dal suo Dove World Outreach Center (Centro Colomba per dialogare con il mondo), a Gainesville, invita l’Onu e gli Usa a reagire “immediatamente” e proclama che “l’Islam non è una religione di pace”. Il pastore Jones aveva già suscitato l’attenzione del mondo nel settembre scorso, perché voleva bruciare il corano, ma aveva poi rinunciato per le pressioni del presidente Obama, di papa Benedetto XVI e di molti altri leader politici e religiosi. Sei mesi dopo, ci ha ripensato: l’Occidente non gli ha badato, l’Islam sì.

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