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mercoledì 13 aprile 2011

Libia: i ribelli chiedono armi, Nato, Ue e Italia nicchiano

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/04/2011

Mahmud Jibril e Ali Al Isawi, i due inviati del Consiglio nazionale transitorio (Cnt)
di Bengasi, portano gli orrori della guerra in Libia a Lussemburgo, dove i ministri degli esteri dei 27 danno un giro di vite alle sanzioni contro il regime di Gheddafi, colpendo, in particolare, le industrie petrolifere, e approvano la missione umanitaria Eufor Libia, con sede a Roma e sotto commando italiano, pronta a essere dispiegata, se l’Onu lo chiederà, a Misurata, città che sarebbe allo stremo.

Jibril e Al Isawi sciorinano le cifre del conflitto secondo gli insorti: le forze regolari e i mercenari del colonnello dittatore avrebbero ucciso finora circa 10mila persone e ne avrebbero ferite 30mila, mentre altre 20mila sarebbero disperse. Cifre molto superiori alle stime diffuse la scorsa settimana da fonti statunitensi: 1500 vittime, compresi i morti di Misurata –circa 300, ma in aumento- e quelli dell’inizio dell’insurrezione, a Bengasi, a metà febbraio, che sarebbero stati tra i 250 e i 300.

I dati dei ribelli sono agghiaccianti, ma sanno pure di operazione propagandistica, nello sforzo di acquisire maggiore aiuti alla causa anti-Gheddafi. La manovra, pero’, non va in porto: il rapporto degli inviati del Cnt non sblocca nè lo stallo sostanziale delle operazioni militari dell’Alleanza atlantica nè quello delle manovre diplomatiche. Eppure, questa settimana è il crocevia di tutti gli incontri: oggi; il Gruppo di Contatto a Doha, dove ci sarà anche l’ex ministro degli esteri libico Mussa Kussa (e il Cnt alza subito gli scudi: quello li’ mica ci rappresenta); domani, al Cairo, il consulto inedito fra Lega araba, Conferenza islamica, Unione africana, Onu, Usa, Nato; infine, venerdi’ a Berlino il Consiglio atlantico. Ci sarà pure la visita a Roma del presidente del Cnt, Jalil, che vedrà Berlusconi e Frattini.

Le decisioni da prendere riguardano la fornitura, o meno, di armi ai ribelli, l’avvio, o meno, di un’operazione militare a protezione degli interventi umanitari –eventualità ieri esclusa da Lady Ashton, la responsabile della diplomazia europea, che l’aveva invece evocata come possibile 48 ore prima-, il ruolo e l’efficacia dell’operazione Unified Protector, con le polemiche ogni giorno rinfocolate sulle ‘vittime collaterali’.

L’Italia continua a fornire il suo contributo (otto missioni, tra lunedi’ e martedi’), fedele, per ora, alla consegna di non sparare un colpo : «Vedremo che cosa ci chiederà Jalil», dice un Frattini riluttante all’idea di un’azione militare diretta italiana. Perchè, del resto, dovrebbe essere altrimenti, se persino gli Stati Uniti si mantengono estranei agli attacchi sulla Libia: «La Nato non ci chiede di riprenderli», ha detto ieri un portavoce statunitense .

Di che frustrare le attese del Cnt, che chiede alla comunità internazionale un maggiore sostegno concreto: la messa a disposizione di parte dei fondi congelati a Gheddafi o al suo regime, un’azione militare alleata più efficace, la fornitura di armi. I ribelli proprongono anche un percorso di transizione «molto preciso» -il giudizio è di Frattini, che esclude ogni ipotesi di permanenza al potere di Gheddafi o dei suoi figli. Il rischio è che la situazione si insabbi e che, alla fine, come paventa Mussa Kussa, la Libia diventi una nuova Somalia : uno Stato senza governo e senza pace, potenziale incubatoio di violenza e di terrorismo.

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