Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/04/2011
Misurata, la città martire del conflitto libico, la Sarajevo del Mediterraneo, è libera: i soldati regolari del regime di Muammar Gheddafi l’hanno abbandonata. Gli insorti proclamano "la città è nostra", ma non ne sono ancora padroni: contro di loro, combattenti di tribù leali al colonnello dittatore. La situazione resta incerta, fluida, cruenta, con almeno 25 caduti nelle ultime 24 ore –ma i bilanci sono sempre aleatori-. Difficile, però, stabilire con certezza che cosa sia avvenuto e perché sia avvenuto: una mossa tattica, quella del regime?, o una ritirata vera e propria?, o una finta per gettare fumo negli occhi ai ribelli e pure alla comunità internazionale?
Venerdì notte, Tripoli ha annunciato di avere affidato a tribù lealiste il controllo della città a lungo contesa, dove, ieri, per la prima volta in questo conflitto, sono entrati in azione i droni americani, aerei senza pilota che hanno compiuto alcune incursioni –il Pentagono lo conferma, senza, però, fornire dettagli-. Sul fronte italiano, c’è da registrare la ‘liberazione’ del rimorchiatore ‘Asso 22’, che, dopo settimane sotto sequestro, ha lasciato la Libia per rientrare in Italia, senza che –si dice- sia stata versata alcuna contropartita: l’unità è in navigazione verso la Sicilia, l’equipaggio sta bene.
A Misurata, le tribù fedeli a Gheddafi hanno il mandato di porre fine agli scontri, o con la forza o con il negoziato. Ieri, gli insorti confermavano: “In città, ci sono combattenti di tribù del sud”. E giornalisti in loco riferiscono che esplosioni e tiri d’arma da fuoco continuano a succedersi , nella città sul Mediterraneo, 200 chilometri a Est di Tripoli, teatro di una cruenta guerriglia.
Una spiegazione del cambiamento di tattica del regime è venuta dal vice-ministro degli esteri Khaled Kaaim: i raid aerei della coalizione internazionale impedivano all’esercito di condurre “operazioni chirurgiche”. L’impiego, invece, di combattenti non regolari, provenienti da città come Bani Walid o Zliten, roccaforti della tribù dei Werfella, la più numerosa e la più fedele, complica il compito degli alleati: non sono militari, ma civili, esattamente come gli insorti. In realtà, i Werfella sarebbero già presenti da giorni a Misurata, sotto le insegne dell’ ‘Esercito popolare’ composto da ‘milizie volontarie’.
Tra venerdì e sabato, la Nato ha condotto numerosi raid su Tripoli, dove la popolazione ha udito diverse esplosioni e vi sono state vittime. L’impiego dei droni, armati ciascuno di due missili oppure di due bombe da 125 chili, è una risposta alla richiesta dei ribelli di intensificare l’azione della Nato. Ma la mossa testimonia pure che Washington, senza tirarsi indietro, vuole mantenere
in seconda linea le proprie forze, molto esposte nei primi giorni del conflitto libico.
Altri raids sono stati condotti nella regione di Zenten, a sud-ovest della capitale, dove si registrano scontri tra lealisti e insorti, che controllano diverse località di quest’area montagnosa, da dove 15 mila libici hanno recentemente riparato in Tunisia. L’alto commissariato dell’Onu ai rifugiati teme che l’esodo diventi più importante, mentre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) calcola che, dall’inizio del conflitto, oltre 550 mila persone abbiano già lasciato la Libia, soprattutto lavoratori stranieri che volevano rientrare nei loro paesi. Una nave dell’Oim ha sbarcato a Misurata, ieri, 160 tonnellate d’aiuti umanitari ed è poi ripartita per Bengasi con un migliaio di stranieri, specie nigeriani. Ma centinaia di famiglie libiche facevano la coda, sperando d’imbarcarsi.
Da tempo, la comunità internazionale lancia l’allarme sulla situazione in città: la Croce Rossa avverte che le condizioni di sopravvivenza della popolazione si degradano, che l’accesso all’acqua ed alle cure mediche sono ormai problematici. Quello più piatto pareva, ieri, il fronte diplomatico: contatti tra Tripoli e Atene e nulla più, segnalano i dispacci d’agenzia. Ma i segnali da Misurata possono lasciare supporre che qualcosa si stia muovendo.
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