Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/04/2011
Fra i leghisti d’Europa, quelli ‘chi fa da sé fa per tre’ e ‘mogli e buoi dei paesi tuoi’, che non hanno nulla contro ‘i foresti’ purchè stiano a casa loro, Mario Borghezio è quasi un modello: parlamentare europeo presente e informato, ogni giorno propina una sua dichiarazione e magari due. Borghezio, come gli altri otto leghisti nostrani eletto a Strasburgo, sta nel gruppo ‘Europa della Libertà e della democrazia’, formato da partiti con programmi ‘eurocritici’ o meglio ‘euroscettici’, d’ispirazione regionale e visioni conservatrici. Creato all’inizio della legislatura, il gruppo comprende oltre 30 eurodeputati: 13 britannici, nove italiani e poi francesi, olandesi, danesi, slovacchi, greci e anche un ‘vero finlandese’. Presidenti ne sono un britannico e l’ex ministro italiano Francesco Speroni, uno che, come Borghezio, Bossi ha ‘esiliato’ in Europa.
Loro sono i leghisti di destra. Ci sono pure quelli di sinistra, associati ai Verdi e riuniti nella ‘European Free Alliance’, fautori di tutti gli indipendentismi frustrati e difensori di tutte le minoranze, specie linguistiche. Se volete vederli all’opera, domani tengono l’assemblea annuale a Mariehamm, capitale delle Isole Aland: un modo per sostenere l’ambizione di secessione delle isole dalla Finlandia. Ci saranno delegati da oltre 30 ‘nazioni d’Europa senza stato’, come Scozia e Galles, Bretania e Alsazia, Catalonia e Paesi Baschi, Corsica e Fiandre; e saranno accolti due nuovi membri, un nuovo partito autonomista valdostano, Alpe, e un partito che rappresenta i tedeschi di Danimarca.
Le insidie al processo d’integrazione europeo e gli arroccamenti egoistici di fronte all’immigrazione non vengono dall’allegra ‘European Free Alliance’ e, in fondo, neppure dagli euroscettici ‘incapsulati’ nei riti e nei regolamenti delle istituzioni comunitarie. E’ negli Stati dell’Unione che fenomeni ‘leghisti’, anche dichiaratamente xenofobi e anti-islam, sono emersi con forza inconsueta negli ultimi round di elezioni politiche e amministrative: in Belgio e in Olanda, in quel Benelux che è il nocciolo dell’Unione; nei Paesi Nordici, in Svezia, Finlandia, Danimarca, che restano un faro di democrazia; e anche in Grecia e all’Est, in Ungheria, in Slovacchia, nella Repubblica Ceca, mentre il fenomeno s’è attenuato in Polonia. E, fuori dall’Ue, pure la Svizzera e persino il Ticino sono coinvolti: gli xenofobi ticinesi ce l’hanno con i frontalieri italiani.
In Belgio, Bart De Wever, secessionista fiammingo, condiziona, dopo l’avanzata nel voto di giugno 2010, i negoziati per la formazione del governo, in corso da oltre 300giorni (un record mondiale). In Olanda, il movimento xenofobo e anti-islamico di Geert Wilders, tiene al laccio il governo di minoranza formato dai liberali del premier Mark Rutte e dai cristiano-democratici.
Ma chi oggi sente d’essere la xenofoba più forte d’Europa é Marine Le Pen, figlia
di quel Jean-Marie che arrivo’ al ballottaggio nelle presidenziali francesi del 2002 (complice il harakiri della sinistra). Neo-leader del Fronte Nazionale, Marine vuole incontrare Maroni per fare con lui una riflessione sulla « fine dell’Unione », che « brilla della luce di una stella morta »; chiede che la Francia abroghi subito le regole sulla libertà di circolazione ; e annuncia che, se sarà presidente, uscirà dalla Nato. Il problema non è quel che Marine, che non sarà mai presidente, dice. Il problema è che Sarkozy, per restare all’Eliseo nel 2012, le corre dietro.
giovedì 14 aprile 2011
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