Scritto per Il Fatto Quotidiano del 06/04/2011
I sondaggi dicono che se li mangerebbe tutti con un solo boccone. Giusto giusto, gli andrebbe un po’ di traverso Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas, un politico un po’ rozzo, che dice pane al pane e vino al vino con la stessa inclinazione alla battuta infelice d’un Calderoli nostrano (ma lui è uomo del Sud, bibbia e fucile e un po’ di razzismo). Ma i sondaggi, si sa, valgono poco, specie quando mancano 19 mesi giusti giusti, un po’ meno di 600 giorni, alle elezioni presidenziali del 6 novembre 2012. E, dunque, Barack Obama, primo presidente nero degli Stati Uniti, partito alla caccia della conferma, non può dormirci sopra sonni tranquilli.
Dati raccolti da Newsweek, prima che Obama annunciasse, lunedì, l’intenzione di ricandidarsi, mostrano che il presidente uscente la spunterebbe, oggi, contro tutti i candidati repubblicani più accreditati: i favoriti sono Huckabee e Mitt Romney, un ex governatore del Massachusetts, con l’handicap di essere mormone, davanti a Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska ed ex candidata alla vice-presidenza nel 2008, attualmente cacciatrice di caribù nel Grande Nord e icona elettorale del Tea Party, in attesa che i neo-qualunquisti conservatori producano un candidato tutto loro (uno potrebbe essere il senatore della Florida Mark Rubio, che, però, appena eletto al primo mandato, manca ancora d’esperienza).
E il risultato a favore di Obama non cambierebbe neppure se i repubblicani decidessero di puntare su un outsider come il miliardario gigione Donald Trump, un Berlusconi d’America, più a suo agio in tv, con le donne e negli affari che in politica, dove deve ancora dimostrare di saperci fare (a dire la verità, anche con le donne non ci azzecca sempre).
Sito che vai, candidato che trovi, a dimostrare l’incertezza se non il disorientamento repubblicano, nonostante il successo nelle elezioni di ‘midterm’ del 2 novembre 2008, quando l’opposizione strappò la Camera ai democratici, erose la maggioranza al Senato e portò a Washington un gruppo di esponenti del ‘Tea Party’, Rubio in testa.
Finora un solo esponente repubblicano ha già dichiarato formalmente l’interesse alla ‘nomination’, l’ex governatore del Minnesota Tim Pawlenty, un personaggio sconosciuto a livello nazionale, che, con la Palin, Huckabee e Romney forma un quartetto di ex governatori in lizza: è la posizione ideale da cui partire all’assalto della Casa Bianca, come fecero con successo Jimmy Carter dalla Georgia, Ronald Reagan dalla California, Bill Clinton dall’Arkansas e Geroge W. Bush dal Texas. Prima di Obama, l’ultimo senatore a essere eletto presidente era stato John F. Kennedy nel 1960: una vita fa.
Una figura emergente, pur se ancora lontana da uno standard di notorietà nazionale presidenziabile, è Michele Marie Bachmann, 55 anni, deputata del Minnesota, vicina al Tea Party, di cui anima e presiede il gruppo alla Camera di Washington. La Bachmann, che è al secondo mandato federale, condivide però con Pawlenty l’ ‘handicap Minnesota’: lo Stato non ha mai prodotto un presidente e, al massimo, ha sfornato un candidato democratico alla Casa Bianca, Walter Mondale, travolto senza appello da Reagan nel 1984.
Ma l’elenco dei possibili candidati repubblicani è ancora lungo: c’è Newt Gingrich, ex presidente della Camera e uomo forte del partito a metà Anni Novanta, uno che sa di vecchio solo a guardarlo; c’è l’ex senatore della Pennsylvania Rick Santorum, un italo-americano, molto vicino a Bush jr; c’è l’ex governatore del Mississippi –un altro- Haley Barbour; e ancora, il governatore dell’Indiana, ed ex ex ministro del bilancio di Bush jr, Mitch Daniels, il governatore del New Jersey Chris Christie: E poi c’è l’ex ambasciatore Usa in Cina Jon Huntsman: Obama evocò con una battuta le sue aspirazioni presidenziali, durante la recente visita a Washington del presidente cinese Hu Jintao; ma i ‘saggi’ repubblicani lo considerano troppo ‘obamiano’ per essere un’alternativa al presidente.
E l’elenco, già lungo, potrebbe andare oltre. Fermiamoci qui e cerchiamo di tirare fuori dal mazzo un poker di favoriti: i sondaggi dicono, per ora, in fila, Huckabee, Romney, Palin, ben avanti agli altri (ma nessuno dei tre raggiunge il 20% delle intenzioni di voto repubblicane nelle primarie). Come quarto, puntiamo sulla Bachmann, che è una Palin meno aggressiva e più presentabile in società. E una donna il lizza darebbe alle presidenziali 2012 il fascino d’una potente alternanza: dopo il primo mero, la prima donna alla Casa Bianca
Ma vi do un suggerimento: non giocatevi un penny su nessuno di questi come presidente dal 2013 al 2017. Se i repubblicani non tirano fuori dal loro cilindro dello Zio Sam un coniglio con i baffi (e lo sapremo di qui all’inizio della stagione delle primarie, quando l’inverno è più gelido e innevato nello Iowa e nel New Hampshire, gli Stati vedetta), puntate sull’usato sicuro. A me, piacerebbe vedere un match tra Obama e il senatore del Massachusetts Scott Brown, un repubblicano capace, nel 2010, di prendersi il seggio da sempre dei Kennedy. Ma quello, per ora, nessuno lo tira in ballo. E lui, magari, non ha i soldi che ci vogliono per provare a conquistare la ‘nomination’.
mercoledì 6 aprile 2011
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