A Barack Obama, i premi capita spesso che glieli diano prima
che se li meriti. Nel 2008, Time, che sceglie il periodo delle Feste per
nominare l’uomo dell’anno, lo dichiarò tale. E, in fondo, un motivo c’era:
Obama era appena divenuto il primo nero eletto presidente degli Stati Uniti e
un posto nella storia dell’America e del Mondo se l’era conquistato. L’anno
dopo, gli arrivò il Nobel per la Pace, che parve più una scommessa sul futuro
che un riconoscimento a quanto fatto, ché ben poco aveva ancora fatto e potuto
fare –e, ad oggi, non è cambiato molto- . Adesso, Time recidiva: lo risceglie
come uomo dell’anno e lo ‘risbatte’ in copertina, anche se Obama, appena
rieletto –e, questo, va bene, è importante, ma lo aveva già fatto- deve ancora
cominciare a dimostrare che il suo secondo mandato sarà migliore del primo,
invero modesto, almeno rispetto alle attese messianiche che aveva suscitato.
Questa volta, la prestigiosa rivista –l’aggettivo
d’ordinanza lo devo pur mettere, prima o poi- lo sceglie come uomo dell’anno in
quanto prototipo e simbolo del ‘nuovo americano’ (il che vuol dire tutto e
nulla), mentre i sondaggi sulla sua popolarità volano alti (nella serie, e
tutti salirono sul carro del vincitore). Ma, intanto, l’Amministrazione
democratica non sblocca il complicato negoziato con l’opposizione repubblicana
sul ‘fiscal cliff’. Anzi, là dove c’era ieri uno spiraglio d’ottimismo oggi
s’addensano nubi di rottura.
E il Dipartimento di Stato è nella bufera perché un’indagine
indipendente mette in evidenza inadeguatezze e incompetenze nella sicurezza al
consolato di Bengasi, dove, a settembre, vennero uccisi l’ambasciatore
Christopher Stevens e tre marines. Quella vicenda è maledetta, per l’America e
l’Amministrazione: rabbia e lutto, al momento del dramma; che, poi, è già
costato il posto a Susan Rice, l’ambasciatrice all’Onu che non diventerà segretario
di Stato perché non disse la verità al Congresso, e lascia una patina opaca
sull’immagine di Hillary Rodham Clinton, che sta per lasciare l’incarico: “Se
abbiamo fatto errori, eviteremo di ripeterli”.
Intanto, mentre nel Connecticut proseguono i funerali delle
vittime della strage di Newton: 26, 20 scolaretti delle elementari, è boom
della vendita di armi a ripetizione: in Texas e altrove, la gente corre ad
acquistarle prima che scatti, all’insediamento del nuovo Congresso, a inizio
gennaio, la ‘crociata’ per metterle al bando. Va a finire che la strage si
trasforma in un affare per l’industria della morte…
Una donna presidente
– Altrove nel mondo c’è la novità, annunciata, di una donna, Park Geun-hye,
eletta presidente –è la prima volta- della Corea del Sud: candidata
conservatrice, figlia del dittatore Park Chung-hee, autore di un colpo di Stato
nel 1961, Park ottiene più del 50% dei suffragi –l’affluenza alle urne è
altissima- e s’impone sul democratico Moon Jae-in.
In Pakistan,
prosegue la campagna dei terroristi contro i volontari dei vaccini anti-polio:
ne vengono uccisi altri tre; e l’Oms sospende le operazioni. In Iraq, le condizioni del presidente
Jalal Talabani, un curdo, colpito da ictus, restano stazionarie. In Medio Oriente, il rilancio, da parte di
Israele, degli insediamenti - 2612 nuovi alloggi a Gerusalemme Est - innesca la
reazione dei palestinesi, che, adesso che sono uno Stato all’Onu, per quanto
‘osservatore’, possono adire la Corte penale internazionale. Sui fronti
italiani, acque (troppo) chete: in Siria, il sequestro dell’ingegner Mario
Belluomo prosegue; in India, l’attesa dei marò si prolunga, perché la Corte
rinvia di nuovo la decisione sulla loro ‘licenza’ di fine anno. Va a finire che
li rivediamo in Italia nel 2013, se va bene.
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