Orgoglioso
di essere europeo: così si sente Herman Van Rompuy, nel ritirare a Oslo il
Nobel per la Pace all’Ue. E orgogliosi di essere europei, così dovrebbero
sentirsi, in questo giorno, tutti i cittadini Ue, non solo i presidenti delle
tre istituzioni, il Consiglio (van Rompuy), la Commissione (José Manuel Durao
Barroso) e il Parlamento (Martin Shultz) che ricevono diploma e medaglia. Ma il
premio è anche momento di contestazione, oltre che di celebrazione; e di esami
di coscienza, oltre che di gioia, nella capitale dello Stato europeo, la
Norvegia, più euro-renitente –due referendum sull’adesione e due no netti-.
E
le preoccupazioni per l’Italia turbano la festa dell’Ue a Oslo. La chiusura
repentina dell’esperienza di governo di Mario Monti preoccupa l’Unione. Il
Professore e i Tecnici godono più della fiducia dei loro partner europei che
del sostegno delle forze politiche italiane. Lo dimostrano gli apprezzamenti
che il premier riceve: è qui con molti altri leader, sta in platea accanto al
presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. A Bruxelles il
commissario agli affari economici Olle Rehn tasta discretamente il polco ai
ministri dell’Eurogruppo: i mercati vanno giù, lo spread sale (fino a 380,
salvo poi scendere un po’), l’Unione è di nuovo al capezzale dell’Italia.
La
cerimonia della consegna dei Nobel si svolge secondo protocollo, nel Municipio
di Oslo: contestazioni e polemiche non si sono esaurite all’annuncio del
premio, ma sono oggi meno virulente. Perez Esquivel e altri Nobel per la Pace
del passato sostengono che l’Europa non merita il riconoscimento perché “fa la
guerra”. Van Rompuy riconosce l’errore dei Balcani; e Barroso cita la vergogna,
che non è solo europea, della Siria, ma celebra, pure, l’Unione come uno spazio
di giustizia, libertà, pace: la più lunga pace mai conosciuta da Vecchio
Continente.
Resta,
come elemento di coesione delle contestazioni, il fatto che il premio, più che
a questa Unione intrisa di egoismi e di inefficenze, sarebbe spettato ai padri
fondatori, mossi da ideali di coesione e di fratellanza. Ma loro non ci sono
più. E se i loro attuali eredi possono apparire inadeguati c’è Elena, con i suo
compagni Ana, Ilona e Larkin a sostenere la speranza di un futuro migliore.
Sei
mani ritirano il premio, quelle dei tre presidenti delle Istituzioni
comunitarie, che neppure in questo caso sono riuscite a dimostrare di essere
‘une’, oltre che ‘trine’. Ma alla cerimonia ci sono pure quattro giovani
europei, lì in rappresentanza, proprio come i presidenti, di tutti i cittadini
europei, dopo avere vinto un concorso del Consiglio dei Ministri dell’Ue.Grazie
a un tweet e a un acronimo venutole “di getto” (“PACE = Ponte Avente Comuni
Estremità”), Elena Nicoletta Garbujo, 16 anni, da Novate Milanese, è a Oslo,
con Ana spagnola, Ilona polacca e Larkin maltese.
Più
che il premio, del resto, a fare dicutere è l’Italia che verrà. Monti, che
incontra, fra gli altri, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente
francese François Hollande, ha intorno un coro di prefiche. Barroso dice che
l’Ue ha bisogno di un’Italia forte e stabile e che il Professore ha dato un
contributo eccezionale al dialogo europeo; Van Rompuy che ha restituito fiducia
all’Italia ed è stato decisivo per la stabilità dell’Eurozona (ma riconosce che
gli italiani devono fare le loro scelte). E tutti, a tardiva riparazione di
gaffes recenti, ricordano che l’Unione ha le sue fondamenta sul Campidoglio, do
ve, il 25 marzo 1957, vennero firmati i trattati costitutivi delle Comunità
europee.
C’e’
chi magari esagera, nell’esprimere il proprio disagio di fronte a una nuova
candidatura a premier di Silvio Berlusconi, come Schultz, che un giorno venne
apostrofato come ‘kapò’ nell’aula del Parlamento europeo –e il presidente
dell’Assemblea si attira qualche bacchettata-. Ma Monti, forse, la fa un po’
troppo facile, quando, in conferenza stampa, dice che le reazioni dei mercati
non vanno mitizzate e che l’Italia resterà protagonista nel’Ue e invita a fare
attenzione ai “risorgenti nazionalismi”. Ogni frase sembra un undestatement,
quasi un modo per dire il contrario.
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