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sabato 15 dicembre 2012

Ue/Italia: all'Unione interessa l'agenda, al Ppe Monti per vincere

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/12/2012

Nelle elezioni politiche italiane 2013, l’Unione europea non vota Mario Monti. Per due motivi: primo, che l’Ue non vota; secondo, che l’Ue non guarda alle persone –agli avvicendamenti dei leader c’è abituata- ma alle scelte. All’Unione europea, ammesso che ne siano interpreti i vari Barroso, van Rompuy, Juncker, presidenti rispettivamente del Consiglio, della Commissione e dell’Eurogruppo, oppure Angela Merkel, cancelliera tedesca –guarda caso, tutti noi diremmo democristiani-, interessa che l’Italia del ‘dopo Monti’ sia guidata da qualcuno che faccia le scelte di Monti, rigore, riforme, riduzione del debito, equilibrio di bilancio. Può chiamarsi Monti, o Bersani, va sempre bene, purché quello faccia.

E la sceneggiata del Partito popolare europeo, allora, che giovedì ha ‘ovazionato’ Monti suo candidato e ‘silurato’ Berlusconi, pur non essendo mai stato, almeno finora, il Professore un ‘popolare’ e pur essendo il Cavaliere, da quando fa politica, un membro del partito? Il Ppe, che è la maggiore formazione politica europea, è stato guidato da una doppia preoccupazione: da un lato, elettorale, con la percezione che Berlusconi sarebbe destinato a sicura sconfitta, consegnando l’Italia alla sinistra; dall’altro, politica, con la consapevolezza che Berlusconi mai e poi mai farebbe propria l’agenda Monti –e, del resto, lo proclama ad alta voce- e anzi condurrebbe una campagna populista e, fondamentalmente, anti-europeista –oltre che anti-tedesca, il che ha il suo peso-.

Dunque, tra il Cavaliere, che lo farebbe probabilmente perdere e, se lo facesse sorprendentemente vincere, ne sarebbe una scheggia fuori controllo, e il Professore, che può farlo vincere e che è la quintessenza dell’ortodossia economica berlino-bruxellese in questo momento, il Ppe sceglie il Professore. C’è un neo, però, in questo processo: che il Professore non sceglie il Ppe, o, almeno, avendo ormai scelto il Ppe, non sceglie ancora di candidarsi, cioè non scioglie la sua riserva. Non l’ha fatto ieri, non l’ha fatto oggi, a Vertice europeo concluso, anche se ha aggiunto che nel suo futuro ci sarà comunque “un impegno europeo”. Che pensi alla presidenza della Commissione europea, che si libererà nel 2014? Possibile, e sarebbe certamente un miglioramento, rispetto a Barroso.

Però, se il Ppe sceglie Monti, il Pse, cioè il Partito socialista europeo, nella sua contorta componente del gruppo S&D al Parlamento europeo –socialisti e democratici, così che ci possono stare dentro anche quegli eletti del Pd che non hanno una coloritura socialista-, conferma la preferenza per Bersani: il capogruppo Swoboda dice “bene Monti, ma Bersani è il nostro candidato”. E così la pensa pure Hollande, che s’impegna in una sorta di braccio di ferro ideologico con Cameron sul futuro dell’integrazione: il francese la vede a più velocità, il britannico considera l’immagine “un cliché.

Rispetto all’apertura del Vertice, giovedì, la chiusura, ieri, vede i leader meno sbilanciati nelle loro dichiarazioni politiche: sarà che non parlano più da capi di partito, ma da capi di Stato o di governo. Così, la Merkel conferma il giudizio positivo su Monti e il suo governo, ma evita “di entrare nelle faccende italiane”; e Rajoy elogia Monti, ma –aggiunge- “decide il popolo italiano”. Sulla sponda opposta, Hollande affossa Berlusconi –“non vedo per lui prospettive concrete”-, ma non gli contrappone un suo ‘campione’. L’unico che mantiene la lingua sciolta è Juncker, che continua a prendere a ceffoni il Cavaliere e a fare ponti d’oro al Professore: ma è lussemburghese e, con il Gran Ducato alle spalle, può dire quel che vuole.

In tutto questo, resta l’incognita Monti. Doppia: che cosa farà –e ce lo dirà lui, prima o poi-; e perché lo ha fatto, giovedì, di andare alla riunione dei capi del Ppe, perdendo, con quel gesto, il suo statuto di tecnico ‘extra partes’, se non ‘super partes’, e divenendo una pedina della politica. Impossibile immaginare che il Professore non abbia valutato l’impatto e le conseguenze del suo gesto, che suona –e di fatto è stato- una scelta di campo. Nessuno lo credeva di sinistra, ma nessuno – fino a giovedì – lo sapeva ‘popolare’.

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