Nelle elezioni politiche italiane 2013, l’Unione europea non
vota Mario Monti. Per due motivi: primo, che l’Ue non vota; secondo, che l’Ue
non guarda alle persone –agli avvicendamenti dei leader c’è abituata- ma alle
scelte. All’Unione europea, ammesso che ne siano interpreti i vari Barroso, van
Rompuy, Juncker, presidenti rispettivamente del Consiglio, della Commissione e
dell’Eurogruppo, oppure Angela Merkel, cancelliera tedesca –guarda caso, tutti
noi diremmo democristiani-, interessa che l’Italia del ‘dopo Monti’ sia guidata
da qualcuno che faccia le scelte di Monti, rigore, riforme, riduzione del
debito, equilibrio di bilancio. Può chiamarsi Monti, o Bersani, va sempre bene,
purché quello faccia.
E la sceneggiata del Partito popolare europeo, allora, che
giovedì ha ‘ovazionato’ Monti suo candidato e ‘silurato’ Berlusconi, pur non
essendo mai stato, almeno finora, il Professore un ‘popolare’ e pur essendo il
Cavaliere, da quando fa politica, un membro del partito? Il Ppe, che è la
maggiore formazione politica europea, è stato guidato da una doppia
preoccupazione: da un lato, elettorale, con la percezione che Berlusconi
sarebbe destinato a sicura sconfitta, consegnando l’Italia alla sinistra;
dall’altro, politica, con la consapevolezza che Berlusconi mai e poi mai
farebbe propria l’agenda Monti –e, del resto, lo proclama ad alta voce- e anzi
condurrebbe una campagna populista e, fondamentalmente, anti-europeista –oltre
che anti-tedesca, il che ha il suo peso-.
Dunque, tra il Cavaliere, che lo farebbe probabilmente
perdere e, se lo facesse sorprendentemente vincere, ne sarebbe una scheggia
fuori controllo, e il Professore, che può farlo vincere e che è la quintessenza
dell’ortodossia economica berlino-bruxellese in questo momento, il Ppe sceglie
il Professore. C’è un neo, però, in questo processo: che il Professore non
sceglie il Ppe, o, almeno, avendo ormai scelto il Ppe, non sceglie ancora di
candidarsi, cioè non scioglie la sua riserva. Non l’ha fatto ieri, non l’ha
fatto oggi, a Vertice europeo concluso, anche se ha aggiunto che nel suo futuro
ci sarà comunque “un impegno europeo”. Che pensi alla presidenza della
Commissione europea, che si libererà nel 2014? Possibile, e sarebbe certamente
un miglioramento, rispetto a Barroso.
Però, se il Ppe sceglie Monti, il Pse, cioè il Partito
socialista europeo, nella sua contorta componente del gruppo S&D al
Parlamento europeo –socialisti e democratici, così che ci possono stare dentro
anche quegli eletti del Pd che non hanno una coloritura socialista-, conferma
la preferenza per Bersani: il capogruppo Swoboda dice “bene Monti, ma Bersani è
il nostro candidato”. E così la pensa pure Hollande, che s’impegna in una sorta
di braccio di ferro ideologico con Cameron sul futuro dell’integrazione: il
francese la vede a più velocità, il britannico considera l’immagine “un
cliché.
Rispetto all’apertura del Vertice, giovedì, la chiusura,
ieri, vede i leader meno sbilanciati nelle loro dichiarazioni politiche: sarà
che non parlano più da capi di partito, ma da capi di Stato o di governo. Così,
la Merkel conferma il giudizio positivo su Monti e il suo governo, ma evita “di
entrare nelle faccende italiane”; e Rajoy elogia Monti, ma –aggiunge- “decide
il popolo italiano”. Sulla sponda opposta, Hollande affossa Berlusconi –“non
vedo per lui prospettive concrete”-, ma non gli contrappone un suo ‘campione’.
L’unico che mantiene la lingua sciolta è Juncker, che continua a prendere a
ceffoni il Cavaliere e a fare ponti d’oro al Professore: ma è lussemburghese e,
con il Gran Ducato alle spalle, può dire quel che vuole.
In tutto questo, resta l’incognita Monti. Doppia: che cosa
farà –e ce lo dirà lui, prima o poi-; e perché lo ha fatto, giovedì, di andare
alla riunione dei capi del Ppe, perdendo, con quel gesto, il suo statuto di
tecnico ‘extra partes’, se non ‘super partes’, e divenendo una pedina della
politica. Impossibile immaginare che il Professore non abbia valutato l’impatto
e le conseguenze del suo gesto, che suona –e di fatto è stato- una scelta di
campo. Nessuno lo credeva di sinistra, ma nessuno – fino a giovedì – lo sapeva
‘popolare’.
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