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venerdì 28 dicembre 2012

SPIGOLI: la tomba del generale salvata dal Gladiatore

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/12/2012

Da Le Monde, ultimo in ordine di tempo, al Times di Londra, fra i primi, non c’è testata di prestigio
che non abbia metaforicamente visitato, in questi giorni, la tomba del Gladiatore, contribuendo, con
il suo interessamento, ad evitare l’ennesimo triste destino d’un bene culturale italiano. Per l’inverno,
il pericolo è sventato. In primavera, chi verrà (al governo) vedrà e, magari, provvederà.

Ad accendere la miccia dell’attenzione mondiale, è stato l’impegno di Russel Crowe, il ‘gladiatore’
per antonomasia, da quando al cinema ha vestito i panni di Maximus Decimus Meridius: l’attore,
con una presa di posizione universalmente ripresa, s’è detto “pronto a combattere” per la tomba del
generale che avrebbe ispirato il suo personaggio..

Crowe è sceso in campo –se lo si può ancora dire- per salvare la tomba di Marcus Nonius Macrinus,
proconsole dell’imperatore Marco Aurelio: “lo spettacolare mausoleo di marmo”, scoperto nel 2008
sepolto nel fango in una zona industriale alla periferia nord di Roma, doveva essere re-interrato in
mancanza di fondi per la manutenzione.

“Fra tutte le grandi nazioni del mondo, l'Italia dovrebbe essere una guida nel promuovere
l'importanza di esplorare e conservare il passato antico”, ha detto l’attore.

Come il personaggio del film di Scott, Marcus Nonius divenne celebre combattendo i germani. Ma
la somiglianza con Maximus Decimus si ferma qui, notava il Times: non risulta che il generale sia
stato venduto come schiavo e sia poi tornato a Roma da gladiatore.

Il mausoleo è stato preservato per 1.800 anni perché coperto dal fango del Tevere, che lo ha celato
ai costruttori del Rinascimento. Ha fatto breccia sulla stampa estera l’amarezza di Maria Rosa
Barbera, sovrintendente ai Beni archeologici: “Ho la sensazione che la sorte del mausoleo sarebbe
stata diversa se fosse stato trovato nei dintorni di Berlino, Parigi o Washington”, ha detto. E il web
s’è mobilitato, grazie a Darius Arya, direttore dell’Istituto americano per la cultura romana.

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