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domenica 30 dicembre 2012

Usa: fiscal cliff, Obama molla i repubblicani, parla agli americani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/12/2012

Dopo l’ultimo consulto, giovedì, alla Casa Bianca, conclusosi con un nulla di fatto, Barack Obama smette di parlare con l’opposizione repubblicana, che tanto non l’ascolta, e di rivolge direttamente ai cittadini americani. Nel consueto ‘sermoncino’ del sabato mattina, radio e video, il presidente è duro: “Non possiamo lasciare –dice- che la politica di Washington freni il progresso della Nazione”. E invita il Congresso “a fare il proprio dovere” e ad “agire subito” per evitare che, alle 24 di domani lunedì 31 dicembre, l’Unione precipiti nel ‘fiscal cliff’, il baratro fiscale..

Il discorso di Obama, pacato, ma fermo, pare un ultimatum: il presidente è pronto a tutto per evitare un aumento delle tasse alle famiglie della classe media; e invita i ricchi a pagare di più per spingere l’economia. Eppure, c’è in giro sul Campidoglio di Washington un cauto ottimismo: lo esprime Obama; lo confermano i leader repubblicani alla Camera e al Senato. Quasi che tutti i protagonisti di questa pantomima siano consapevoli dell’inevitabilità di un’intesa in extremis.

Eppure, alla fine della riunione di giovedì, il presidente era stato drastico: o c’è l’intesa, o vado avanti con il mio piano. Lui e John Boehner, speaker della Camera, dove i repubblicani sono maggioranza, non cercano più l’accordo. Adesso, la trattativa è nelle mani ddi Harry Reid, leader dei democratici al Senato, e del capogruppo repubblicano Mitch McConnell.

Se non ci sarà l’intesa entro oggi, domenica, i democratici hanno già pronto un piano da presentare al Congresso lunedì, per farlo subito votare: un testo di legge che evita l’aumento delle tasse alle famiglie con un reddito inferiore ai 250.000 dollari l'anno. A rivelarlo, è stato lo stesso Reid, spiegando che il provvedimento conterrà altre disposizioni per tutelare la classe media dalla caduta nel ‘fiscal cliff’.

Agli americani, che –secondo i sondaggi- sono con lui in questo scontro, Obama spiega che l’economia “sta crescendo e non può subire le ferite che ci auto-infliggiamo a causa della politica”. Rubando il tono proprio ai suoi rivali del Tea Party, componente populista del partito repubblicano, il presidente afferma: “La gente che è stata mandata a Washington deve fare il suo dovere". Tanto più che è tutta gente a fine mandato: il 7 gennaio, s’insedierà il Congresso uscito dall’Election Day del 6 novembre, una Camera rinnovata al 100% e un Senato rinnovato per un terzo.

Il presidente traccia un quadro positivo della congiuntura americana: "Il mercato immobiliare –dice- è sulla via della guarigione, ma potrebbe tornare in stallo, se la gente ha di colpo una busta paga ridotta ... Il tasso di disoccupazione è il più basso dal 2008, ma famiglie ed imprese cominciano a temere per le disfunzioni di Washington". "Voi - conclude Obama - fate fronte alle vostre scadenze e alle vostre responsabilità ogni giorno. Quelli che avete mandato a Washington a servire il Paese dovrebbero fare lo stesso".

Casa Bianca e Congresso cercano un accordo su come ridurre e contenere il deficit di bilancio. Se Obama vuole semplicemente fare pagare più tasse ai ricchi, i repubblicani non ne vogliono sapere d’inasprimenti fiscali e ripropongono la solita ricetta dell’economia conservatrice, tagliare la spesa e ridurre i servizi, a scapito dei meno abbienti, ché gli altri possono sopperire con i soldi loro.

Accanto alla partita sul deficit di bilancio, c’è quella sul debito pubblico, che ormai supera il 70% del Pil. Il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha già comunicato al Congresso che domani, il 31, sarà superato il tetto di 16.400 miliardi di dollari fissato nell'accordo del luglio 2011, quando ci fu un altro negoziato ‘al fotofinish’ come questo. Così, lo spettro del default torna a minacciare l'America. E l'Amministrazione Obama - che ha sospeso temporaneamente l'emissione di titoli statali – tiene pronte misure d'emergenza definite "straordinarie", sperando di non dovervi ricorrere.

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