Dopo l’ultimo
consulto, giovedì, alla Casa Bianca, conclusosi con un nulla di fatto, Barack
Obama smette di parlare con l’opposizione repubblicana, che tanto non
l’ascolta, e di rivolge direttamente ai cittadini americani. Nel consueto
‘sermoncino’ del sabato mattina, radio e video, il presidente è duro: “Non
possiamo lasciare –dice- che la politica di Washington freni il progresso della
Nazione”. E invita il Congresso “a fare il proprio dovere” e ad “agire subito”
per evitare che, alle 24 di domani lunedì 31 dicembre, l’Unione precipiti nel
‘fiscal cliff’, il baratro fiscale..
Il discorso di
Obama, pacato, ma fermo, pare un ultimatum: il presidente è pronto a tutto per
evitare un aumento delle tasse alle famiglie della classe media; e invita i
ricchi a pagare di più per spingere l’economia. Eppure, c’è in giro sul
Campidoglio di Washington un cauto ottimismo: lo esprime Obama; lo confermano i
leader repubblicani alla Camera e al Senato. Quasi che tutti i protagonisti di
questa pantomima siano consapevoli dell’inevitabilità di un’intesa in extremis.
Eppure, alla
fine della riunione di giovedì, il presidente era stato drastico: o c’è
l’intesa, o vado avanti con il mio piano. Lui e John Boehner, speaker della
Camera, dove i repubblicani sono maggioranza, non cercano più l’accordo.
Adesso, la trattativa è nelle mani ddi Harry Reid, leader dei democratici al
Senato, e del capogruppo repubblicano Mitch McConnell.
Se non ci sarà
l’intesa entro oggi, domenica, i democratici hanno già pronto un piano da
presentare al Congresso lunedì, per farlo subito votare: un testo di legge che
evita l’aumento delle tasse alle famiglie con un reddito inferiore ai 250.000
dollari l'anno. A rivelarlo, è stato lo stesso Reid, spiegando che il
provvedimento conterrà altre disposizioni per tutelare la classe media dalla
caduta nel ‘fiscal cliff’.
Agli americani,
che –secondo i sondaggi- sono con lui in questo scontro, Obama spiega che
l’economia “sta crescendo e non può subire le ferite che ci auto-infliggiamo a
causa della politica”. Rubando il tono proprio ai suoi rivali del Tea Party,
componente populista del partito repubblicano, il presidente afferma: “La gente
che è stata mandata a Washington deve fare il suo dovere". Tanto più che è
tutta gente a fine mandato: il 7 gennaio, s’insedierà il Congresso uscito
dall’Election Day del 6 novembre, una Camera rinnovata al 100% e un Senato
rinnovato per un terzo.
Il presidente
traccia un quadro positivo della congiuntura americana: "Il mercato
immobiliare –dice- è sulla via della guarigione, ma potrebbe tornare in stallo,
se la gente ha di colpo una busta paga ridotta ... Il tasso di disoccupazione è
il più basso dal 2008, ma famiglie ed imprese cominciano a temere per le
disfunzioni di Washington". "Voi - conclude Obama - fate fronte alle
vostre scadenze e alle vostre responsabilità ogni giorno. Quelli che avete mandato
a Washington a servire il Paese dovrebbero fare lo stesso".
Casa Bianca e
Congresso cercano un accordo su come ridurre e contenere il deficit di
bilancio. Se Obama vuole semplicemente fare pagare più tasse ai ricchi, i
repubblicani non ne vogliono sapere d’inasprimenti fiscali e ripropongono la
solita ricetta dell’economia conservatrice, tagliare la spesa e ridurre i
servizi, a scapito dei meno abbienti, ché gli altri possono sopperire con i
soldi loro.
Accanto alla
partita sul deficit di bilancio, c’è quella sul debito pubblico, che ormai
supera il 70% del Pil. Il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha già comunicato
al Congresso che domani, il 31, sarà superato il tetto di 16.400 miliardi di
dollari fissato nell'accordo del luglio 2011, quando ci fu un altro negoziato
‘al fotofinish’ come questo. Così, lo spettro del default torna a minacciare
l'America. E l'Amministrazione Obama - che ha sospeso temporaneamente l'emissione
di titoli statali – tiene pronte misure d'emergenza definite
"straordinarie", sperando di non dovervi ricorrere.
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