Di fronte a una di quelle che saremmo tentati di definire 'minacce bufala', l’Alleanza atlantica,
nonostante la Russia la metta in guardia dal rischio di “sopravvalutare il
pericolo”, contro-minacciando: la Nato , e prima, gli Usa avvertono con forza
la Siria che il ricorso ad armi chimiche contro il proprio popolo sarebbe
“inaccettabile”, avrebbe “serie conseguenze” e comporterebbe “una reazione
internazionale immediata”.
Le minacce
potenzialmente bufale di questi giorni includono il missile nord-coreano, con
l’addendo d’ogiva atomica; le armi chimiche siriane, appunto; e magari pure i
programmi nucleari iraniani potenzialmente militari. Di fronte ad esse, la diplomazia internazionale si barcamena, per
lo più fingendo di crederci: un po’ perché spesso fa gioco; e un po’ perché, se
le snobbi e poi sono vere, "apriti cielo"…
Eppure le cronache
recenti dovrebbero, piuttosto, indurre a stare in guardia da reazioni spropositate
a minacce poi rivelatesi bufale, come le armi di distruzioni di massa irachene
mai utilizzate perché mai esistite. Ma crederci, tra l’autunno del 2002 e la
primavera del 2003, veniva utile a giustificare un’invasione voluta a
prescindere dall'effettiva minaccia o dal ruolo, inesistente, di Baghdad nell'attacco
all'America dell’11 Settembre 2001.
Dunque, l’Occidente,
di fronte alle voci che il regime siriano possa ricorrere alle armi chimiche,
apre una cascata di “inaccettabile”: “Il ricorso ad armi chimiche è e sarebbe
totalmente inaccettabile”, dice lunedì il presidente statunitense Barack Obama.
Poche ore dopo l’aggettivo si ritrova nelle dichiarazioni del segretario generale
della Nato Anders Fogh Rasmussen e dei ministri degli esteri dei Paesi dell’Alleanza,
ivi compreso l’italiano Giulio Terzi, riuniti a Bruxelles per la sessione d’inverno
del Consiglio atlantico.
Rasmussen preconizza
“una reazione immediata della comunità internazionale”, se il presidente
siriano Bashar al Assad autorizzasse o consentisse il ricorso alle armi
chimiche. E tanto per non stare con le mani in mano, la Nato dota la Turchia di
batterie di Patriot, missili anti-missili da schierare lungo la frontiera con
la Siria.
I timori relativi al
ricorso alle armi chimiche si sono riproposti in modo brusco negli ultimi
giorni, mentre i ribelli mettono in difficoltà l’esercito regolare, specie
intorno all’aeroporto di Damasco. E poco conta che il regime, tramite una fonte
del ministero degli esteri citata dalla Afp, assicuri che “non farà uso di tali
armi, ammesso che ne possieda, contro il proprio popolo”. Jay Carney, portavoce
della Casa Bianca, esprime l’inquietudine degli usa “all’idea che un potere sempre
più assediato … valuti il ricorso alle armi chimiche contro il proprio popolo”.
L’arsenale chimico
siriano, costituito con il concorso della Russia e dell’Iran, è considerato uno
dei più grossi nel Medio Oriente, ma ne mancano stime pubbliche attendibili sia
dal punto di vista della quantità che dell’efficienza. Secondo fonti americane,
i siriani starebbero predisponendosi a un uso militare del gas sarin, possente
neurotossico che induce prima una paralisi completa e poi la morte.
Per illustrare la
risposta positiva dell’Alleanza alla richiesta turca di schierare i Patriot al
confine con la Siria, Rasmussen dice: “La situazione lungo la frontiera Nato sud-occidentale
ci suscita grande inquietudine. La Turchia ci chiede un sostegno e noi siamo
solidali con la Turchia”. I Patriot – viene spiegato – hanno finalità “totalmente
difensiva”: non servono in alcun modo a instaurare una ‘no fly zone’ sulla
Siria né a preparare qualsivoglia operazione offensiva.
Assicurazioni che,
prima ancora che la Siria, mirano a tranquillizzare il ministro degli esteri
russo Serguiei Lavrov, che ha avuto un pranzo di lavoro con i colleghi atlantici.
Il presidente russo Vladimir Putin aveva già criticato la mossa lunedì, durante
una visita a Istanbul, sostenendo che essa, lungi dal placare le tensioni con
la Siria, le esacerba.
Lo spiegamento dei
Patriot non sarà, comunque, immediato: prima, deve pronunciarsi il Bundestag,
forse la prossima settimana. Si calcola che l’installazione possa avvenire
entro la primavera 2013: alcune centinaia di militari americani, tedeschi e
olandesi saranno dislocati in Turchia a gestire le batterie di missili, da 4 a
6, installate a Malatya, Diyarbakir e Sanliourfa.
E, intanto, il degradarsi della situazione in Siria induce l’Onu e l’Ue,
rispettivamente, a sospendere o a ridurre la propria presenza a Damasco e in
tutto il Paese.
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