Orgoglio
per l’Europa. E malessere per l’Italia. Sono gli stati d’animo che si sono
intrecciati, ieri, alla consegno all’Ue del Nobel per la Pace a Oslo.
L’orgoglio, si può pure credere che fosse fuori posto, perché la cerimonia
diventa occasione d’esame di coscienza nella capitale di quella Norvegia che lo
Stato più euro-renitente –due referendum sull’adesione, due no netti-. Perez
Esquivel e altri Nobel per la Pace del passato ritengono che l’Europa non
meriti il riconoscimento perché –dicono- “fa la guerra”. Van Rompuy riconosce
l’errore dei Balcani; e Barroso ammette la vergogna, che non è solo europea,
della Siria, ma celebra, pure, l’Unione come uno spazio di giustizia, libertà, pace: la più lunga pace mai conosciuta dal Vecchio
Continente.
Il malessere, invece, ci sta
tutto. E il premier Monti, presente alla cerimonia accanto a molti leader europei
venuti a fare tappezzeria di prestigio, seduto proprio davanti all’altro Mario
più europeo che italiano, Draghi, presidente della Bce, non fa nulla per dissiparlo,
anche se, apparentemente, usa le parole come linimento.
La
chiusura repentina dell’esperienza del governo Monti preoccupa l’Unione. Non è
una novità che il Professore e i Tecnici godono della fiducia dei partner
europei più che del sostegno delle forze politiche italiane. Lo dimostrano gli
apprezzamenti che il premier riceve qui, mentre il commissario agli affari
economici Rehn tasta il polso ai ministri dell’Eurogruppo a Bruxelles: i
mercati vanno giù, lo spread torna su, l’Unione è di nuovo al capezzale
dell’Italia.
E
le prospettive dell’Italia che verrà appaiono inquietanti, a Oslo come a
Bruxelles. Monti, che incontra, fra gli altri, la cancelliera tedesca Merkel e
il presidente francese Hollande, è come circondato da un coro di prefiche. Barroso
dice che l’Ue ha bisogno di un’Italia forte e stabile e che il Professore ha
dato un contributo eccezionale al dialogo europeo; e ammonisce che l’Italia deve continuare
sulla via delle riforme, perché non ci sono soluzioni veloci e magiche. Van
Rompuy afferma che Monti ha restituito fiducia all’Italia ed è stato decisivo
per la stabilità dell’Eurozona (ma riconosce che gli italiani devono fare le
loro scelte). Schulz, che ha conti in sospeso con Mr B, giudica “un vero
peccato” che il Governo Monti “non possa arrivare fino alla scadenza”.
E
tutti, a riparazione di sgrabi recenti, ricordano che l’Unione ha le fondamenta
sul Campidoglio, dove il 25 marzo 1957 “i leader dei 6 Stati fondatori si
riunirono nella ‘città eterna’ per cominciare un nuovo futuro” e firmare i
trattati costitutivi delle Comunità europee.
Monti
reagisce con la melassa alla melassa. Non si toglie sassolini dalle scarpe, non
è l’occasione, ma, forse, la fa un po’ troppo ostentatamente facile, quando, in
conferenza stampa, sostiene che il governo è “pienamente in carica” e “lavorerà
fino all’insediamento del prossimo” e invita a non drammatizzare le reazioni
dei mercati e a prestare attenzione “ai risorgenti nazionalismi”. “L’Italia
–aggiunge- resterà protagonista nell’Ue” e rispetterà gli impegni, chiunque
vinca le elezioni. E lui non ha ancora deciso che cosa farà, perché “tutti i
miei sforzi sono concentrati sul –poco, ndr- tempo che rimane”.
Frasi
che, tutte, evocano –e non esorcizzano- il contrario di quanto affermano.
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