Teatrino italico sulla scena europea.
L’ex premier Silvio Berlusconi si presenta, legittimamente, anche se magari
inopportunamente, al consulto fra i leader del Partito popolare europeo, che precede
il Vertice dei 27, e ci trova il premier Mario Monti, che, con il Ppe, c’entra poco
(o, meglio, c’entrava poco finora). E tutti a dirgli, al Professore, non al
Cavaliere, di candidarsi e di continuare a guidare l’Italia: Van Rompuy,
Barroso, la Merkel, gli altri, che sono tutti ‘popolari’ – in italiano, si
legge democristiani-. Alla fine, glielo dice pure Silvio a Mario: “Se ti
candidi tu, non mi candido io”. Il Professore è reticente: “No comment, per ora
penso al governo”.
Il consesso conta: il Ppe ha la
maggioranza dei capi di Stato o di governo dell’Ue. Ovvio che i capi dei capi
del Partito si preoccupino di evitare che la sinistra vinca le prossime
elezioni in Italia: è il loro minimo comune denominatore. Per la Merkel, un
successo della sinistra da noi sarebbe un cattivo presagio, in vista delle
politiche tedesche di settembre.
Fatto sta che a Bruxelles, in queste
ore, tutta l’attenzione è concentrata sulla situazione italiana. Anche perché un
Vertice così facile, i leader dei 27 se lo sognavano da anni: è tutto fatto, loro
ci devono solo mettere la faccia e la firma. E poco importa che la stampa tedesca faccia dello humour all’inglese,
scrivendo che la muraglia cinese dell’Unione bancaria s’è trasformata in un
paravento pieghevole giapponese, quelli di carta di riso, che lasciano
intravvedere più di quanto nascondano.
Non ci fossero le beghe italiche, qui sarebbe
una buona giornata europea: da un lato, la nuova fetta di prestiti alla Grecia
decisa dall’Eurogruppo; dall’altro, modi e tempi dell’Unione bancaria definiti
dall’Ecofin. L’accordo tocca tutti i
Paesi dell’euro e pure gli altri, tranne Gran Bretagna e Svezia.
La presenza di Mr B all’incontro del Ppe
sarebbe già stata di per sé imbarazzante, dopo la sortita anti-Cavaliere del
gruppo del partito al Parlamento europeo. Figuriamoci insieme a Monti, che è
stato invitato –si scopre- dal presidente del Ppe Martens, un ex premier belga
un po’ andato, causa età e alcol. Berlusconi, gli amici li può contare sulle
dita di una mano (e alcuni sono impresentabili, come Orban, il premier
ungherese, un tifoso del Milan). Ma anche fra i supporter di Monti ce ne sono
di poco raccomandabili, come il presidente albanese Berisha.
Invece di zittirsi, il Cavaliere
s’esalta: si sente “coccolatissimo” dal partito; e fa il piazzista a Mario. Lo invita
a candidarsi e a essere “punto di riferimento” del Pdl, nonostante l’ostracismo
della Lega; dice che, se Monti ci sta, moderati e Lega insieme vincono; afferma
che la sua visione e quella del premier “si sommano” senza differenze e che tra
loro c’è “un buon feeling”; tiene in sospeso le sue scelte: “Vedremo… Se mi
presento prendo i voti del 2008”.
Poi innesca i ritornelli: è una menzogna
assoluta che l’Italia con lui fosse sull’orlo del disastro; e non è vero che il debito sia eccessivo, “abbiamo
9000 miliardi di attivo”. Polemizza con Daul, capogruppo del Ppe a Strasburgo, un
tedesco che l’ha criticato; e con Schulz, presidente Spd dell’Assemblea, “una
personalità problematica”. Della Merkel dice “non ci siamo parlati, ma ci siamo
sorrisi” –o forse era un sorrisino?- .
La cancelliera guida il coro “Mario
candidati”. Juncker dice che il sostegno per Monti è grande, Martens che il
partito è "unito contro populismo e antieuropeismo”. Barroso insiste sull’importanza
della stabilità dell’Italia ed elogia il Governo dei Tecnici: "Ho parlato con
Berlusconi – racconta – per dirgli che un'Italia stabile e che prosegua sulla
via delle riforme è cruciale anche per l'Europa".
Il premier comincia la giornata con una
conferenza a un think tank; poi vede Barroso e pure Hollande e Rajoy; quindi va
al Ppe e infine al Vertice. La situazione politica italiana preoccupa l’Europa:
il cambio di vento a Roma non piace: i leader popolari e pure gli altri
vogliono capire. Monti prova a calmare gli animi, ricorda che il suo governo è
in carica e rassicura: "Qualunque sarà l'esito delle elezioni, l’esecutivo
che verrà si collocherà nella linea tradizionale di un forte appoggio
all'integrazione europea", perché questo "è nell'interesse
nazionale". Non gli crede nessuno; e, forse, non ci crede neppure lui.
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