Il terrorismo minaccia di
lasciare un’impronta anche sul 2013: ormai cacciato dai suoi santuari afghani,
smembrato in cellule locali e organizzazioni regionali spesso autonome,
l’integralismo intollerante e sanguinario ha trovato nuovo ruolo e nuova linfa nelle
Primavere arabe ed ora è presente nel Malì e in tutta la fascia sub-sahariana,
è in prima linea sul fronte siriano e continua, quasi quotidianamente, a colpire
in Pakistan e in Iraq. La sua matrice è riconoscibile in Nigeria, dove la
violenza omicida contro i cristiani è ormai cronaca consueta di ogni domenica;
così come c’è il suo marchio nella pirateria somala.
Forse meno capace che nei primi
anni del XXI Secolo di azioni militari sul territorio occidentale - ma il
rischio si alza quando l’attenzione s’abbassa -, il terrorismo ispirato e in
qualche misura tuttora collegato ad al Qaeda s’è radicato in contesti locali
diverse ed ha saputo mimetizzarsi e infiltrarsi in momenti di tensione d’ordine
religioso –le sommosse contro le profanazioni dell’immagine del Profeta-, o
tribale –la guerra in Libia-, o politico-sociale (il conflitto in Siria).
Ancora pronti a infiltrarsi in
Occidente, i terroristi integralisti sono presenti su tutti i fronti di guerra
aperti in questo 2013: dalla Repubblica Centrafricana all’Ovest del Congo. E,
in genere, acquista più forza al riparo dall’attenzione dei media, che spesso
si dimenticano dei focolai di conflitto che “non fanno notizia” (salvo poi
scoprirli a guerra esplosa).
Ma c’è un’altra violenza che
serpeggia nell’Anno Nuovo. E questa nasce dentro le nostre società
relativamente ricche e diffidenti, si nutre di sfiducia e risentimento, si
richiama a miti del passato nutriti di rivisitazioni cinematografiche o di miti
fantasy: è la violenza delle armi per tutti, cancro americano cui l’Europa pare
(quasi) immune. Non c’è stata, forse, nel Mondo strage terroristica 2012 che
abbia contato tante vittime quante la sparatoria nella scuola elementare di
Newton, Connecticut, Usa.
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