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martedì 29 gennaio 2013

Punto: Egitto, l'Occidente sta sempre dalla parte del più forte

Scritto per l'Indro il 29/01/2013

Due anni dopo la sua Primavera, l’Egitto è di nuovo sull’orlo del collasso. La messa in guardia viene dai vertici dell’Esercito, l’istituzione che ha di fatto garantito un ordine nel Paese dopo la cacciata del presidente satrapo Hosni Mubarak e l’elezione dell’attuale presidente Mohamed Morsi, il primo scelto dal popolo con libere elezioni. Esponente dei Fratelli Musulmani, Morsi sta ora cercando di fronteggiare le sanguinose proteste scatenate contro di lui dai suoi provvedimenti, ultimo la proclamazione dello stato d’emergenza.

Ancora una volta, gli eventi egiziani testimoniano la difficoltà dell’Occidente ad anticipare quanto possa accadere nel Mondo arabo e musulmano: questo scoppio di violenza e d’intolleranza nessuno l’aveva anticipato. E le diplomazie occidentali sono in difficoltà a trovare una posizione sostenibile fra le fazioni che si scontrano. Si direbbe che la nostra prima scelta di campo sia sempre dettata dalla convinzione, più che dalla percezione, che il mantenimento dello statu quo è comunque migliore di qualsiasi evoluzione.

Così, nel 2011 ci volle del tempo perché gli Stati Uniti e i loro partner ‘mollassero’ Mubarak e accettassero il possibile avvento di un presidente espressione dei Fratelli Musulmani, com’è poi puntualmente avvenuto con elezioni democratiche. E ora l’Occidente praticamente ignora le ragioni della protesta, nonostante essa venga da settori della società egiziana ‘liberali’ e in linea di massima quindi più vicini alla nostra sensibilità.

E’ vero, del resto, che, negli ultimi giorni, manifestazioni, proteste, scontri, vittime a decine sono derivati dall’intreccio di cause diverse: ci sono le preoccupazioni della parte meno profondamente religiosa della società egiziana per la svolta radicale del Paese; ma ci sono pure state le opposte violente reazioni alla sentenza straordinariamente severa del Tribunale di Porto Said, con 31 condanne a morte per la morte di decine di persone nella ressa a una partita di calcio, dove i tifosi delle due squadre avevano diverse appartenenze politiche e religiose. Con i criteri della magistratura della città sul Canale, però, quanti tifosi del Liverpool dovevano essere condannati alla pena capitale per la strage dell’Heysel, 39 morti il 25 maggio 1985?

Anche se il numero delle vittime, ieri e oggi, è stato modesto, o nullo, rispetto ai giorni precedenti, c’è, al Cairo, nervosismo per quel che potrebbe accadere venerdì, il giorno di festa e di preghiera, quando l’opposizione ha già chiamato alla protesta i suoi sostenitori. E la situazione incandescente dell’Egitto non contribuisce certo a stemperare le tensioni nel Grande Medio Oriente e nell’Africa mediterranea e sub-sahariana. In Siria, dove la guerra civile è senza tregua, fonti dell’insurrezione anti-al Assad riferiscono del ritrovamento di almeno 65 cadaveri in un quartiere di Aleppo, nel nord del Paese: avevano le mani legate ed erano stati apparentemente uccisi con un colpo alla testa, vittime di una vera e propria esecuzione.

Le tensioni politiche e militari in Egitto e Siria s’intrecciano con le trattative per la formazione del governo in Israele, dopo le elezioni politiche della scorsa settimana: un altro di quegli incroci d’eventi ad alto rischio cui le cronache ci hanno drammaticamente abituati in quest’area del Mondo.

Invece, in Mali, l’intervento militare francese contro le milizie jihadiste ‘imparentate’ con al Qaida sembra essere stato risolutivo, almeno per il momento, complice una spaccatura nei guerriglieri fra nazionalisti e integralisti. Risultato, le truppe regolari maliani stanno ‘ripulendo’ da esplosivi ed armi abbandonate dai ribelli in rotta le città del Nord riconquistate, Timbuctu e Gao, mentre Parigi sta già considerando la possibilità di affidare il completamento delle operazioni alle truppe maliane e al contingente dell’Africa occidentale nel frattempo allestito.

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