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mercoledì 16 gennaio 2013

Punto: Obama/repubblicani, debito/spese, tra baratto e ricatto

Scritto per l'Indro il 15/01/2013

Chi credeva di avere archiviato, per tutto l’anno, i problemi di deficit e di debito degli Stati Uniti, che all'inizio del 2013 facevano paventare all'America di cadere nel ‘fiscal cliff’, il baratro fiscale, ha già dovuto ricredersi: a Washington, dove s’è appena insediato il Congresso uscito dalle elezioni del 6 novembre, è di nuovo braccio di ferro tra l’Amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana. E il presidente Barack Obama mette in guardia i conservatori dal tentativo di ‘barattare’ l’aumento del tetto del debito, fissato per legge e ormai raggiunto, con un taglio delle spese: Obama equipara la posizione dei repubblicani a una richiesta di riscatto e avverte che gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi sprofondati nella crisi che pareva evitata solo due settimane or sono.

Quello del deficit e del debito non è l’unico nodo di questo inizio di secondo mandato del presidente che, lunedì prossimo, giurerà sul Campidoglio di Washington. A un mese esatto dalla strage di Newton, nel Connecticut, il presidente ha rinnovato il proprio impegno per la messa al bando delle armi a ripetizione, mentre i genitori dei bambini uccisi nella scuola elementare dell’orrore lanciano un appello per una “discussione nazionale” che eviti altre tragedie di questo stampo. Ma le lobbies delle armi non hanno affatto alzato bandiera bianca e la partita resta aperta. Un esempio viene dallo Stato di New York, che dà un giro di vite agli acquisti di armi ‘facili’.

Ma ci sono aree del Mondo dove le armi della guerra e del terrorismo fanno decine di morti ogni giorno. In Siria, una deflagrazione durante una sessione di esami all'Università di Aleppo fa oltre 80 vittime e oltre 160 feriti. Discordanti le versioni: chi combatte il regime denuncia raid aerei, fonti delle forze armate regolari di un missile lanciato dalle milizie ribelli, gli studenti di un’autobomba. Che sia di regime o d’opposizione, è terrorismo contro civili.

E le vittime si contano a decine pure nel Malì, dove, nonostante i raid militari francesi, le milizie integraliste islamiche legate ad al Qaida riprendono l’avanzata verso Sud. Gli jihadisti abbandonano le città del Nord occupate, per non offrire un bersaglio ai raid aerei, ma s’impossessano di Diabali, solo 400 km a nord della capitale Bamako, e minacciano di “colpire al cuore la Francia”, come atto di rappresaglia. Il governo di Parigi decide l’invio di un contingente fino a 2.500 uomini e di 40 blindati, mentre si attende lo spiegamento sul terreno del contingente della Comunità degli Stati dell’Africa occidentale. Dopo le consultazioni di ieri all’Onu, una riunione straordinaria dei ministri degli esteri dell’Ue è stata convocata a Bruxelles giovedì prossimo.

C’è la chiara percezione che il fronte di questa guerra non sia limitato al Malì: gli insorti islamici somali pubblicano su Twitter le foto del cadavere di un uomo che sarebbe –sostengono- il capo del commando francese che sabato aveva cercato di liberare un ostaggio tenuto sequestrato dal 2009 –anche l’ostaggio, un agente segreto francese, è rimasto ucciso nel fallito blitz-.

Anche l’Italia è protagonista sulla scena internazionale. A Bengasi, in Libia, l’attività del consolato viene sospesa per motivi di sicurezza e viene disposto il rientro del personale impiegatovi, dopo il fallito attacco, sabato sera, al console generale Guido de Sanctis. E a Kollam, in India, è stato rinviato al 18 febbraio il processo ai due marò accusati di avere ucciso per errore due pescatori indiani scambiati per pirati, durante una missione anti-pirateria a bordo di una nave italiana, la Enrica Lexie. Il rinvio era previsto: il tribunale che deve giudicare Massimilaino Latorre e Salvatore Girone attende la sentenza della Corte Suprema di New Delhi sulla giurisdizione del caso. Si tratta, cioè, di decidere se i due vadano processati in India o, come chiedono i loro legali, in Italia.

E c’è un’eco di Italia anche in quanto avviene in Pakistan, dove la Corte Suprema ordina l’arresto del premier Raja Pervez Ashraf e di altre 15 persone per una vicenda di corruzione, mentre un leader religioso, Tahir ul-Qadri, istiga alla rivoluzione pacifica contro il governo ‘corrotto’ e sollecita lo scioglimento del Parlamento.

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