Chi credeva di avere archiviato, per tutto l’anno, i
problemi di deficit e di debito degli Stati Uniti, che all'inizio del 2013
facevano paventare all'America di cadere nel ‘fiscal cliff’, il baratro
fiscale, ha già dovuto ricredersi: a Washington, dove s’è appena insediato il
Congresso uscito dalle elezioni del 6 novembre, è di nuovo braccio di ferro tra
l’Amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana. E il presidente
Barack Obama mette in guardia i conservatori dal tentativo di ‘barattare’ l’aumento
del tetto del debito, fissato per legge e ormai raggiunto, con un taglio delle
spese: Obama equipara la posizione dei repubblicani a una richiesta di riscatto
e avverte che gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi sprofondati nella crisi che
pareva evitata solo due settimane or sono.
Quello del deficit e del debito non è l’unico nodo di questo
inizio di secondo mandato del presidente che, lunedì prossimo, giurerà sul
Campidoglio di Washington. A un mese esatto dalla strage di Newton, nel
Connecticut, il presidente ha rinnovato il proprio impegno per la messa al
bando delle armi a ripetizione, mentre i genitori dei bambini uccisi nella
scuola elementare dell’orrore lanciano un appello per una “discussione
nazionale” che eviti altre tragedie di questo stampo. Ma le lobbies delle armi
non hanno affatto alzato bandiera bianca e la partita resta aperta. Un esempio
viene dallo Stato di New York, che dà un giro di vite agli acquisti di armi
‘facili’.
Ma ci sono aree del Mondo dove le armi della guerra e del
terrorismo fanno decine di morti ogni giorno. In Siria, una deflagrazione
durante una sessione di esami all'Università di Aleppo fa oltre 80 vittime e
oltre 160 feriti. Discordanti le versioni: chi combatte il regime denuncia raid
aerei, fonti delle forze armate regolari di un missile lanciato dalle milizie
ribelli, gli studenti di un’autobomba. Che sia di regime o d’opposizione, è
terrorismo contro civili.
E le vittime si contano a decine pure nel Malì, dove,
nonostante i raid militari francesi, le milizie integraliste islamiche legate
ad al Qaida riprendono l’avanzata verso Sud. Gli jihadisti abbandonano le città
del Nord occupate, per non offrire un bersaglio ai raid aerei, ma s’impossessano
di Diabali, solo 400 km
a nord della capitale Bamako, e minacciano di “colpire al cuore la Francia”,
come atto di rappresaglia. Il governo di Parigi decide l’invio di un
contingente fino a 2.500 uomini e di 40 blindati, mentre si attende lo
spiegamento sul terreno del contingente della Comunità degli Stati dell’Africa
occidentale. Dopo le consultazioni di ieri all’Onu, una riunione straordinaria
dei ministri degli esteri dell’Ue è stata convocata a Bruxelles giovedì
prossimo.
C’è la chiara percezione che il fronte di questa guerra non
sia limitato al Malì: gli insorti islamici somali pubblicano su Twitter le foto
del cadavere di un uomo che sarebbe –sostengono- il capo del commando francese
che sabato aveva cercato di liberare un ostaggio tenuto sequestrato dal 2009
–anche l’ostaggio, un agente segreto francese, è rimasto ucciso nel fallito
blitz-.
Anche l’Italia è protagonista sulla scena internazionale. A
Bengasi, in Libia, l’attività del consolato viene sospesa per motivi di
sicurezza e viene disposto il rientro del personale impiegatovi, dopo il
fallito attacco, sabato sera, al console generale Guido de Sanctis. E a Kollam,
in India, è stato rinviato al 18 febbraio il processo ai due marò accusati di
avere ucciso per errore due pescatori indiani scambiati per pirati, durante una
missione anti-pirateria a bordo di una nave italiana, la Enrica Lexie. Il
rinvio era previsto: il tribunale che deve giudicare Massimilaino Latorre e
Salvatore Girone attende la sentenza della Corte Suprema di New Delhi sulla giurisdizione
del caso. Si tratta, cioè, di decidere se i due vadano processati in India o,
come chiedono i loro legali, in Italia.
E c’è un’eco di Italia anche in quanto avviene in Pakistan,
dove la Corte Suprema ordina l’arresto del premier Raja Pervez Ashraf e di
altre 15 persone per una vicenda di corruzione, mentre un leader religioso,
Tahir ul-Qadri, istiga alla rivoluzione pacifica contro il governo ‘corrotto’ e
sollecita lo scioglimento del Parlamento.
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