Che tutto fosse davvero finito, e che ‘sta storia del
‘fiscal cliff’, il baratro fiscale, fosse archiviata, almeno per i prossimi due
mesi, lo s’è capito quando il presidente Barack Obama, letta senza tracotanza
una ‘dichiarazione della vittoria’, ha preso l’AirForceOne e se n’è tornato
dalla famiglia alle Hawaii, a riprendere le vacanze interrotte subito dopo
Natale.
La rivolta dei conservatori alla Camera, contro l’accordo
avallato al Senato da molti repubblicani, era durata appena qualche ora: una
sceneggiata all'italiana, fumo negli occhi degli elettori più che sostanza,
perché all'intesa non c’era alternativa. Pena: il finire alla gogna
dell’opinione pubblica.
Le reazione delle borse mondiali, nella prima seduta 2013 è
euforica, ben al di là, probabilmente, della portata dell’intesa: i mercati
asiatici ed europei sono tutti positivi e Wall Street parte bene. Ma gli
esperti invitano alla prudenza: l’accordo, dice Pier Carlo Padoan, capo
economista Ocse, evita per il momento “il rischio d’un collasso che avrebbe
portato l’America in recessione”, ma allontana solo il pericolo senza
cancellarlo. Anzi, "un piccolo effetto recessivo ci sarà in ogni caso"
e "il ciclo economico americano resterà debole, con ripercussioni
globali".
Commentando il compromesso, il presidente Obama ha parlato
di “un primo passo”. E ha, forse ironicamente, invitato il Congresso a
prendersi anch'esso “una piccola pausa”: in realtà, deputati e senatori sono
agli sgoccioli del loro mandato, perché, la prossima settimana, s’insedieranno
Camera e Senato usciti dalle elezioni del 6 novembre.
L’intesa che tiene l’America lontana dal baratro fiscale
andrà completata, secondo il presidente, “con un approccio bilanciato per
ridurre il deficit” e “democratici e repubblicani possono lavorare insieme”. Nell'attesa,
Obama rivendica di avere mantenuto le promesse della campagna elettorale per una
riforma fiscale che non favorisca i ricchi “a scapito della classe media”. Ma,
sullo sfondo, c’è un debito pubblico che ha appena superato il tetto legale dei
16.400 miliardi di dollari, costringendo il Tesoro a varare una serie di misure
eccezionali per evitare il default dello Stato.
Il voto del Senato era giunto la notte di San Silvestro con
una maggioranza schiacciante: 89 sì e solo 8 no su 100 senatori. Una trentina
della quarantina di senatori repubblicani avevano quindi accettato il testo. A
quel punto, la responsabilità del ‘fiscal cliff’ pesava sulla Camera, dove i
repubblicani più vicini al Tea Party si ribellavano all'idea di avallare un
aumento delle tasse per i più ricchi.
Sulle barricate del no all'accordo saliva Eric Cantor, il
leader dei repubblicani alla Camera, mentre lo speaker John Boehner, pure
repubblicano, manteneva una posizione più neutra. Cantor, un ebreo di origine
romena, deputato della Virginia dal 2002, sposato a una democratica liberal, è
da sempre schierato su posizioni ultra-conservatrici e assumeva nella
circostanza una posizione allineata con i populisti anti-tasse del Tea Party:
"Non sostengo –annunciava- un testo" che aumenta le imposte ai più
ricchi e non taglia la spesa pubblica.
Ma l’alternativa era un incremento delle tasse generalizzato
per tutti i contribuenti americani: l’incubo era un cocktail di misure come
l’abbandono degli sgravi decisi sotto George W. Bush e l’adozione di tagli
drastici, specie al bilancio della difesa, come stabilito dal Congresso nel
2011.
Così, alla fine, la Camera, dopo avere tenuto per
qualche ora l’intesa in ostaggio, varava l’accordo con 257 sì e 167 no. Contro 85
repubblicani, fautori a oltranza d’un emendamento che prevedeva tagli alla
spesa per 330 miliardi di dollari, e qualche democratico di sinistra. E Obama
intascava una doppia vittoria: fiscale, con più tasse ai più ricchi, e
politica, con il campo avverso battuto dopo avere esposto le proprie divisioni.
Se per i tagli alla spesa pubblica tutto è rinviato di due
mesi, l’accordo prevede che l’aliquota fiscale salga dal 35 al 39,6% -il
livello degli Anni Novanta- per i nuclei familiari che guadagnano oltre 450
mila dollari l’anno e per i single che dichiarano oltre 400 mila. Viene pure
innalzata al 23,8% l’imposizione su dividendi e redditi finanziari per i
contribuenti più ricchi; e sale dal 35% al 40% la tassa di successione su proprietà
di un valore superiore a 10 milioni di dollari.
L’intesa comprende, inoltre, la proroga di un anno di
benefici legati all'indennità di disoccupazione, una misura che tocca almeno
due milioni di persone; l'estensione dei crediti di imposta per l'infanzia e
dei mutui agli studenti per l’Università; e ancora l'estensione di incentivi
per ricerca ed energia eolica e rinnovabile.
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