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giovedì 3 gennaio 2013

Usa: fiscal cliff, Obama alle Hawaii, il riposo del vincitore

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 03/01/2013

Che tutto fosse davvero finito, e che ‘sta storia del ‘fiscal cliff’, il baratro fiscale, fosse archiviata, almeno per i prossimi due mesi, lo s’è capito quando il presidente Barack Obama, letta senza tracotanza una ‘dichiarazione della vittoria’, ha preso l’AirForceOne e se n’è tornato dalla famiglia alle Hawaii, a riprendere le vacanze interrotte subito dopo Natale.

La rivolta dei conservatori alla Camera, contro l’accordo avallato al Senato da molti repubblicani, era durata appena qualche ora: una sceneggiata all'italiana, fumo negli occhi degli elettori più che sostanza, perché all'intesa non c’era alternativa. Pena: il finire alla gogna dell’opinione pubblica.

Le reazione delle borse mondiali, nella prima seduta 2013 è euforica, ben al di là, probabilmente, della portata dell’intesa: i mercati asiatici ed europei sono tutti positivi e Wall Street parte bene. Ma gli esperti invitano alla prudenza: l’accordo, dice Pier Carlo Padoan, capo economista Ocse, evita per il momento “il rischio d’un collasso che avrebbe portato l’America in recessione”, ma allontana solo il pericolo senza cancellarlo. Anzi, "un piccolo effetto recessivo ci sarà in ogni caso" e "il ciclo economico americano resterà debole, con ripercussioni globali".

Commentando il compromesso, il presidente Obama ha parlato di “un primo passo”. E ha, forse ironicamente, invitato il Congresso a prendersi anch'esso “una piccola pausa”: in realtà, deputati e senatori sono agli sgoccioli del loro mandato, perché, la prossima settimana, s’insedieranno Camera e Senato usciti dalle elezioni del 6 novembre.

L’intesa che tiene l’America lontana dal baratro fiscale andrà completata, secondo il presidente, “con un approccio bilanciato per ridurre il deficit” e “democratici e repubblicani possono lavorare insieme”. Nell'attesa, Obama rivendica di avere mantenuto le promesse della campagna elettorale per una riforma fiscale che non favorisca i ricchi “a scapito della classe media”. Ma, sullo sfondo, c’è un debito pubblico che ha appena superato il tetto legale dei 16.400 miliardi di dollari, costringendo il Tesoro a varare una serie di misure eccezionali per evitare il default dello Stato.

Il voto del Senato era giunto la notte di San Silvestro con una maggioranza schiacciante: 89 sì e solo 8 no su 100 senatori. Una trentina della quarantina di senatori repubblicani avevano quindi accettato il testo. A quel punto, la responsabilità del ‘fiscal cliff’ pesava sulla Camera, dove i repubblicani più vicini al Tea Party si ribellavano all'idea di avallare un aumento delle tasse per i più ricchi.

Sulle barricate del no all'accordo saliva Eric Cantor, il leader dei repubblicani alla Camera, mentre lo speaker John Boehner, pure repubblicano, manteneva una posizione più neutra. Cantor, un ebreo di origine romena, deputato della Virginia dal 2002, sposato a una democratica liberal, è da sempre schierato su posizioni ultra-conservatrici e assumeva nella circostanza una posizione allineata con i populisti anti-tasse del Tea Party: "Non sostengo –annunciava- un testo" che aumenta le imposte ai più ricchi e non taglia la spesa pubblica.

Ma l’alternativa era un incremento delle tasse generalizzato per tutti i contribuenti americani: l’incubo era un cocktail di misure come l’abbandono degli sgravi decisi sotto George W. Bush e l’adozione di tagli drastici, specie al bilancio della difesa, come stabilito dal Congresso nel 2011.

Così, alla fine, la Camera, dopo avere tenuto per qualche ora l’intesa in ostaggio, varava l’accordo con 257 sì e 167 no. Contro 85 repubblicani, fautori a oltranza d’un emendamento che prevedeva tagli alla spesa per 330 miliardi di dollari, e qualche democratico di sinistra. E Obama intascava una doppia vittoria: fiscale, con più tasse ai più ricchi, e politica, con il campo avverso battuto dopo avere esposto le proprie divisioni.

Se per i tagli alla spesa pubblica tutto è rinviato di due mesi, l’accordo prevede che l’aliquota fiscale salga dal 35 al 39,6% -il livello degli Anni Novanta- per i nuclei familiari che guadagnano oltre 450 mila dollari l’anno e per i single che dichiarano oltre 400 mila. Viene pure innalzata al 23,8% l’imposizione su dividendi e redditi finanziari per i contribuenti più ricchi; e sale dal 35% al 40% la tassa di successione su proprietà di un valore superiore a 10 milioni di dollari.

L’intesa comprende, inoltre, la proroga di un anno di benefici legati all'indennità di disoccupazione, una misura che tocca almeno due milioni di persone; l'estensione dei crediti di imposta per l'infanzia e dei mutui agli studenti per l’Università; e ancora l'estensione di incentivi per ricerca ed energia eolica e rinnovabile.

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