Come nei romanzi d’appendice peggiori, quelli di cui
s’intuisce la fine dalle prime righe, l’accordo che evita agli Stati Uniti di
cadere nel ‘fiscal cliff’, nel baratro fiscale, arriva in extremis, nella notte
di San Silvestro, quando la mezzanotte è già passata. Ma la notizia dell’intesa
non trova gli americani con il fiato sospeso: li raggiunge mentre festeggiano
l’Anno Nuovo, da Times Square a New York alla baia di San Francisco.
Il compromesso raggiunto al Senato tra democratici e
repubblicani, e che deve ancora essere avallato dalla Camera, dove
l’opposizione repubblicana ha la maggioranza, permette al presidente Barack
Obama di segnare punti nell’opinione pubblica, ma si limita a rinviare di due
mesi la soluzione duratura dei maggiori problemi, come l’entrata in vigore di
tagli secchi ed automatici alle spese pubbliche, specie militari.
L’accordo prevede l’aumento delle tasse per i contribuenti
più ricchi: l’aliquota sale dal 35 al 39,6% -il livello degli Anni Novanta- per
quanti guadagnano più di 450 mila dollari l’anno se famiglia, 400 mila se
single. L’intesa comprende, inoltre, la proroga di un anno di benefici legati
all'indennità di disoccupazione, una misura che tocca almeno due milioni di
persone.
C'è pure l'estensione per cinque anni dei crediti di imposta
per l'infanzia e dei mutui agli studenti per l’Università; l'estensione di
incentivi per ricerca ed energia eolica e rinnovabile; un'aliquota al 23,8%
delle tasse su dividendi e redditi finanziari per i contribuenti più ricchi; e,
ancora, l'innalzamento dal 35% al 40% della tassa di successione su proprietà
di un valore superiore a 5 milioni di dollari.
Commentando l’intesa con un comunicato nel cuore della
notte, Obama ha detto: “Né i democratici né i repubblicani hanno ottenuto tutto
quello che volevano. Ma quest’accordo è una buona cosa per il nostro Paese.
Resta del lavoro da fare per ridurre il deficit e sono pronto a farlo”, sempre
che i sacrifici per ridurre il tasso d’indebitamento del Paese siano “condivisi”.
Il voto del Senato, epilogo di settimane di dichiarazioni
roboanti e di negoziati discreti, è giunto quando a Washington erano le due del
mattino, con una maggioranza schiacciante: 89 sì e solo 8 no su 100 senatori,
Il che vuol dire che una trentina della quarantina di senatori repubblicani hanno
accettato il testo, frutto di negoziati fra il presidente del Senato, il
vice-presidente Usa Joe Biden, e i due capigruppo, Harry Reid per i democratici
e Mitch McConnell per i repubblicani.
Solo il voto della Camera, atteso a breve, eviterà davvero
agli Usa di cadere nel ‘baratro fiscale’, apertosi sotto i piedi degli
americani allo scoccare della mezzanotte del 31, anche se con effetti immediati
trascurabili visto che il 1° gennaio è giorno festivo e che i mercati sono
chiusi. Ma senza il sì della Camera, resta l’incubo di un cocktail di misure
che comprendono aumenti delle tasse generalizzati allo scadere degli sgravi
decisi sotto la presidenza di George W. Bush e tagli drastici al bilancio della
difesa, come stabilito dal Congresso nel 2011.
L’aumento delle imposte per i contribuenti più ricchi è
percepito come una vittoria per Obama, che ne aveva fatto un elemento centrale
della sua vittoriosa campagna elettorale –la sua proposta era di colpire i
redditi superiori ai 250mila dollari-. La soluzione prospettata mantiene –è
l’analisi della Casa Bianca- l’imposta sul reddito a un livello modesto per la
classe media e fa sì che milionari e miliardari paghino la giusta parte per
ridurre il deficit.
Quanto ai tagli sulle spese che dovevano scattare oggi,
democratici e repubblicani si sono dati due mesi per elaborare un piano di
riduzione non traumatico. La trattativa sui tagli sarà parallela, nelle
prossime settimane, a quella, di segno opposto, per l’aumento del tetto legale
del debito pubblico, che è stato ufficialmente raggiunto il 31 gennaio. La fissazione del tetto del debito è una
prerogativa del Congresso: nel 2011, aveva innescato una crisi acuta tra
Amministrazione ed opposizione. La perdita di credibilità dell’economia statunitense
era sfociata nella perdita della tripla A nella valutazione di S&P.
Resta, ora, da vedere come i mercati, ieri chiusi, prenderanno
l’intesa. Ma le prime avvisaglie sono positive.
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