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mercoledì 2 gennaio 2013

Usa: fiscal cliff, un giallo dove l'assassino è il maggiordomo

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 02/01/2012. Altra versione su l'Indro lo 02/01/2013

Come nei romanzi d’appendice peggiori, quelli di cui s’intuisce la fine dalle prime righe, l’accordo che evita agli Stati Uniti di cadere nel ‘fiscal cliff’, nel baratro fiscale, arriva in extremis, nella notte di San Silvestro, quando la mezzanotte è già passata. Ma la notizia dell’intesa non trova gli americani con il fiato sospeso: li raggiunge mentre festeggiano l’Anno Nuovo, da Times Square a New York alla baia di San Francisco.

Il compromesso raggiunto al Senato tra democratici e repubblicani, e che deve ancora essere avallato dalla Camera, dove l’opposizione repubblicana ha la maggioranza, permette al presidente Barack Obama di segnare punti nell’opinione pubblica, ma si limita a rinviare di due mesi la soluzione duratura dei maggiori problemi, come l’entrata in vigore di tagli secchi ed automatici alle spese pubbliche, specie militari.

L’accordo prevede l’aumento delle tasse per i contribuenti più ricchi: l’aliquota sale dal 35 al 39,6% -il livello degli Anni Novanta- per quanti guadagnano più di 450 mila dollari l’anno se famiglia, 400 mila se single. L’intesa comprende, inoltre, la proroga di un anno di benefici legati all'indennità di disoccupazione, una misura che tocca almeno due milioni di persone.

C'è pure l'estensione per cinque anni dei crediti di imposta per l'infanzia e dei mutui agli studenti per l’Università; l'estensione di incentivi per ricerca ed energia eolica e rinnovabile; un'aliquota al 23,8% delle tasse su dividendi e redditi finanziari per i contribuenti più ricchi; e, ancora, l'innalzamento dal 35% al 40% della tassa di successione su proprietà di un valore superiore a 5 milioni di dollari.

Commentando l’intesa con un comunicato nel cuore della notte, Obama ha detto: “Né i democratici né i repubblicani hanno ottenuto tutto quello che volevano. Ma quest’accordo è una buona cosa per il nostro Paese. Resta del lavoro da fare per ridurre il deficit e sono pronto a farlo”, sempre che i sacrifici per ridurre il tasso d’indebitamento del Paese siano “condivisi”.

Il voto del Senato, epilogo di settimane di dichiarazioni roboanti e di negoziati discreti, è giunto quando a Washington erano le due del mattino, con una maggioranza schiacciante: 89 sì e solo 8 no su 100 senatori, Il che vuol dire che una trentina della quarantina di senatori repubblicani hanno accettato il testo, frutto di negoziati fra il presidente del Senato, il vice-presidente Usa Joe Biden, e i due capigruppo, Harry Reid per i democratici e Mitch McConnell per i repubblicani.

Solo il voto della Camera, atteso a breve, eviterà davvero agli Usa di cadere nel ‘baratro fiscale’, apertosi sotto i piedi degli americani allo scoccare della mezzanotte del 31, anche se con effetti immediati trascurabili visto che il 1° gennaio è giorno festivo e che i mercati sono chiusi. Ma senza il sì della Camera, resta l’incubo di un cocktail di misure che comprendono aumenti delle tasse generalizzati allo scadere degli sgravi decisi sotto la presidenza di George W. Bush e tagli drastici al bilancio della difesa, come stabilito dal Congresso nel 2011.

L’aumento delle imposte per i contribuenti più ricchi è percepito come una vittoria per Obama, che ne aveva fatto un elemento centrale della sua vittoriosa campagna elettorale –la sua proposta era di colpire i redditi superiori ai 250mila dollari-. La soluzione prospettata mantiene –è l’analisi della Casa Bianca- l’imposta sul reddito a un livello modesto per la classe media e fa sì che milionari e miliardari paghino la giusta parte per ridurre il deficit.

Quanto ai tagli sulle spese che dovevano scattare oggi, democratici e repubblicani si sono dati due mesi per elaborare un piano di riduzione non traumatico. La trattativa sui tagli sarà parallela, nelle prossime settimane, a quella, di segno opposto, per l’aumento del tetto legale del debito pubblico, che è stato ufficialmente raggiunto il 31 gennaio.  La fissazione del tetto del debito è una prerogativa del Congresso: nel 2011, aveva innescato una crisi acuta tra Amministrazione ed opposizione. La perdita di credibilità dell’economia statunitense era sfociata nella perdita della tripla A nella valutazione di S&P.

Resta, ora, da vedere come i mercati, ieri chiusi, prenderanno l’intesa. Ma le prime avvisaglie sono positive.

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