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lunedì 21 gennaio 2013

Punto: Obama giura, l'America lo guarda, i terroristi lo sfidano

Scritto per l'Indro il 21/01/2013

Aveva già giurato in casa, domenica, perché la legge prevede che il presidente Usa s’insedi il 20 gennaio. E ha oggi ripetuto il rito in pubblico. A Barack Obama, sempre due giuramenti tocca fare perché almeno uno sia valido; e quelli in pubblico, a conti fatti, sono sempre fasulli. Quattro anni or sono, un errore di formula del presidente della Corte Suprema John Roberts lo costrinse alla ripetizione ‘privata’. Questa volta, l’inghippo è che il giorno fatidico è la domenica, che non va bene per l’appuntamento in Campidoglio.

Il giuramento familiare, alla presenza di moglie e figlie – per Michelle, nuova acconciatura e nuovo look, meno vistosi -, coincide con l’ennesima strage di un adolescente armato: un ragazzo di 15 anni uccide cinque persone, suoi familiari, nel New Mexico. Se ci fosse stato bisogno -e non ce n’era-, di sottolineare una priorità, quasi un’emergenza, del secondo mandato del 44.o presidente degli Stati Uniti, il primo nero, la tragedia conferma che il controllo sulla vendita delle armi sta davvero diventando un problema urgente. Nel mese trascorso dalla carneficina nella scuola di Newtown, nel Connecticut, gli acquisti di armi si sono impennati e le stragi si sono susseguite –una , persino, ad Aurora, in Colorado, un sobborgo di Denver, dove c’era già stata la sparatoria alla prima di Batman in luglio-.

Oggi, sul mall di fronte al Congresso degli Stati Uniti, c’erano ‘solo’ 800 mila persone, rispetto ai due milioni della prima investitura di Obama: ovvio, perché la seconda volta non è mai come la prima, che te la ricordi per sempre. E, poi, tutto è diverso intorno: quattro anni fa ad ascoltare il presidente messia c’era un’America attonita per la crisi e che ancora non si capacitava di come e di quanto era repentinamente caduta in basso.

Ora, ad ascoltare il presidente prammatico, che misura le promesse sulla capacità di realizzarle, c’è un’America impaziente di mettersi la crisi alle spalle, di tornare a crescere ai suoi ritmi ed a produrre posti di lavoro. E lui afferma che la ripresa poggia sulle spalle “di una classe media forte”, da tenere quindi lontana dal ‘fiscal cliff’, il baratro fiscale. “Finito un decennio di guerre –dice Obama-, ora cogliamo l’opportunità dello sviluppo”; e prende impegni sull'immigrazione –la sua seconda grande riforma, dopo quella della sanità-, sui diritti degli omosessuali e sulla lotta all'effetto serra.

Se, rispetto all'insediamento 2009, le prospettive economiche sono migliori, il contesto internazionale appare, invece, più agitato, con la guerra che esplode nel Mali e il terrore che insanguina il deserto d’Algeria: secondo gli ultimi dati, la presa di ostaggi sul campo di gas di In Amenas e il blitz delle forze speciali algerine hanno fatto oltre 60 vittime, 37 ostaggi di otto Paesi –molti uccisi dai loro sequestratori- e 27 jihadisti; inoltre, cinque terroristi sarebbero stati presi vivi, almeno tre sarebbero ancora in fuga. L’emiro Belmoctar, il capo dell’organizzazione integralista islamica responsabile dell’azione, conferma che la strage è avvenuta “in nome di al Qaida’ e si dice pronto a negoziare con l’Occidente “se cessa la guerra in Mali”. Ma proprio lì, nel Mali, le truppe francesi proseguono l’avanzata alla riconquista del Nord occupato dagli jihadisti.

In Europa, il presidente francese François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel celebrano i riti dell’amicizia franco-tedesca, con una cena all’Eliseo, a 50 anni dalla firma del Trattato tra i leader di allora, Charles De Gaulle e Konrad Adenauer –due nomi che mettono i brividi, al di là delle controversie che possono suscitare, nel contesto dell’Europa del dopoguerra-.  Ma l’umore di Hollande e della Merkel non è dei migliori. E, a togliere loro il sorriso, non è certo lo screzio sul nuovo presidente dell’Eurogruppo, il club dei ministri delle finanze dell’Eurozona: nonostante la candidatura del ministro francese Pierre Moscovici, Berlino impone, come successore di Jean Claude Juncker, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, un carneade, ministro da neppure cento giorni.

Ma il problema non è quello. Il presidente ha in mente il Mali. E la cancelliera il brutto risultato rimediato dal suo partito nelle elezioni in Bassa Sassonia, dove la Cdu ha perso quasi 6 punti, magari pure per aiutare gli alleati liberali a restare a galla. Così che, per un seggio, la guida del land dovrebbe andare alla coalizione rosso-verde di Spd e Verdi. Pirati e Sinistra restano fuori dal Parlamento regionale. Il risultato dell’ultimo test regionale prima delle elezioni federali di settembre incrina l’ottimismo che, nelle ultime settimane, s’era creato intorno alla Merkel e alla possibilità di conferma alla guida della Germania.

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