Grand Hotel Casa Bianca: come nel film di Edmond
Goulding con Greta Garbo, “gente che va, gente che viene”. Al cambio di
presidente, anzi, tutti vanno e tutti vengono: è lo ‘spoil system’; ci pare
lunare, ma funziona. E pure quando il presidente resta lo stesso, il viavai tra
un mandato e l’altro è elevato: chi lascia per logoramento; chi parte per
siluramento; e chi si posiziona. Potrebbe essere il caso di Hillary Rodham
Clinton, la più popolare nei sondaggi attuali per Usa 2016, giusto davanti al
vice di Obama Joe Biden: ma siamo a un concorso di bellezza della terza età,
c’è tempo per vedere venire avanti candidati meno stagionati.
Verso
la fine del suo secondo quadriennio, il presidente dovrà poi fare fronte a un
vero e proprio esodo: molti dei suoi giocheranno
d’anticipo e coglieranno le occasioni che avranno, per evitare di ritrovarsi a
fine mandato con in mano lo scatolone per svuotare l’ufficio.
Il rimpasto dell’Amministrazione 2013 è profondo,
investe tutti e tre i maggiori dicasteri: esteri, difesa ed economia; e anche
il posto più delicato per l’organizzazione interna, quello di capo dello staff
della Casa Bianca, quello che da noi è il sottosegretario alla presidenza del
Consiglio, ma più alla Gianni Letta che alla Antonio Catricalà.
La Clinton, Leon Panetta e Timothy Geithner non sono però gli unici partenti. Altri due che
se ne vanno, ad esempio, sono Ken Salazar, il ministro dell’Interno, che, negli
Usa, non conta, però, come da noi, e Steven Chu (Energia).
Le sostituzioni non sono mai immediate, perché il
Senato deve avallare le scelte del presidente. E’ bene avviata la ratifica
della nomina di John Kerry a segretario di Stato al posto della Clinton, che ha
praticamente concluso la sua missione con una sofferta audizione in Senato
sulla strage di Bengasi a settembre.
Hillary lascia un monito sulla minaccia che tuttora
incombe sugli occidentali a Bengasi, dove sono attive cellule terroristiche
legate ad al Qaida.
Occuparsene, sarà, però, compito del suo successore: Kerry,
candidato democratico alla presidenza nel 2008, ha il ‘test d’ammissione’ facilitato, perché
l’esame glielo fa la commissione esteri del Senato che lui ha presieduto negli
ultimi quattro anni. Kerry è, però, una seconda scelta: Obama, infatti, puntava
su Susan Rice, l’ambasciatrice degli Usa all’Onu, che l’opposizione
repubblicana ha costretto alla rinuncia preventiva, contestandole reticenze e
falsità proprio in audizioni sulla strage di Bengasi.
Non in discesa la strada di Chuck Hagel, il repubblicano
dissidente scelto per guidare il Pentagono al posto di Panetta. Gli tirano
addosso i repubblicani, e fin qui ci sta; ma gli giocano pure contro i
rallegramenti iraniani alla sua designazione e la fama di ‘anti-israeliano’,
oltre che una gaffe anti-gay, di cui si scusò, quando disse che un omosessuale
non può fare l’ambasciatore.
Per Jacob Lew, uno di cui Obama si fida -lo aveva
capo dello staff e responsabile del bilancio-, l’ok del Senato al posto di
Geithner pare acquisito: la sola pecca che la blogosfera gli ha finora trovato è
una firma illeggibile. Al suo posto, alla Casa Bianca, andrebbe Denis McDonough,
numero due tra i consiglieri per la Sicurezza nazionale.
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